INTERPRETAZIONE DELLE AEROFOTOGRAFIE PER LE RICERCHE ARCHEOLOGICHE

Allegato F

Relatore : Ing. C. M. LeRIcI, Milano

La letteratura su questo argomento comprende, dal 19II1 a oggi, oltre 250 pubbli? cazioni che documentano non soltanto il crescente sviluppo delle applicazioni dei rileva menti aerei nell’archeologia, ma anche i numerosi perfezionamenti tecnici realizzati sia nel campo della ripresa che in quelio dell’interpretazione.

Il progresso realizzato nel campo dell’interpretazione si può riassumere affermando che negli stessi fotogrammi aerei che hanno servito per le prime applicazioni è oggi pos sibile dedurre segnalazioni di interesse archeologico almeno due volte superiori a quelle constatate dai primi osservatori.

Infatti i primi tempi i rilevamenti aerei hanno servito agli studiosi di archeologia per stabilire una migliore correlazione tra tutti i resti archeologici già noti e affioranti, men tre oggi, sulle stesse fotografie di 30 anni fa, sarebbe possibile, attraverso l'osservazione delle diverse tonalità del terreno, dovute a differente sviluppo della vegetazione, o a di verso grado di umidità, la possibile esistenza di altre formazioni.

D'altra parte i perfezionamenti tecnici realizzati nelle apparecchiature di ripresa, nella sensibilità dei film e degli schermi colorati e nella stessa tecnica della ripresa, hanno consentito un ulteriore straordinario aumento nel rendimento delle fotografie per fina lità archeologica, tanto che è lecito affermare che una ripresa aerea effettuata oggi con tutti gli accorgimenti suggeriti dalla tecnica moderna, può consentire un rendimento di almeno 4 o 5 volte superiore a quello di riprese effettuate trenta anni or sono.

Per meglio comprendere quali sono tutti i fatto1i che concorrono al rendimento di una fotografia aerea per finalità archeologiche, è opportuno ricordare in quale modo e in quali condizioni le formazioni sepolte possono dar luogo ad indicazioni sulla superficie del terreno visibili nella fotografia, richiamandoci anche a quanto abbiamo già esposto nella breve nota, pubblicata a pag. 18 del n.1-2 1956 del Bollettino della Società Ita liana di Fotogrammetria e Topografia.

Accenneremo ai casi più tipici:

Strade sepolte : è noto che le antiche strade romane erano costituite da diversi strati comprendenti, dal basso verso l'alto, un piano di fondo, al quale erano sovrap posti strati di sabbia e di ghiaia, ed infine uno strato di superficie costituito da grossi lastroni di pietra che formavano il «summum dorsum ».

In tutti i paesi appartenenti all’antico Impero Romano sussistono ancora dei tratti affioranti di queste strade. La maggior parte di esse è stata naturalmente distrutta o ab bandonata e in tutte le regioni soggette a movimenti di terra di carattere alluvionale o dovuti all’azione dei venti, come nelle regioni nord-africane, sono state sepolte da strati che in alcuni casi raggiungono i due metri di altezza.

Si comprende facilmente come il terreno sovrastante una strada sepolta possa pre sentare caratteristiche diverse di umidità, in quanto risulta naturalmente più compatto e quindi più asciutto di quello circostante. Conseguentemente la tonalità del terreno risulta più chiara e la stessa vegetazione naturale di superficie meno sviluppata.

Questa diversa tonalità e questo diverso sviluppo di vegetazione sono facilmente denunciati da una fotografia aerea su film pancromatico normale e possono venire accen tuati quando la fotografia venga presa con uno schermo adatto per filtrare le radiazioni






F tipiche della clorofilla vegetale, meno intensa sulla vegetazione ridotta soprastante. Que sto vale in generale per tutte le differenze di sviluppo della vegetazione causate da for mazioni archeologiche. . Fondazioni murarie : le antiche fondazioni murarie, ancora sepolte, possono ri sultare visibili da un rilevamento aereo per ragioni analoghe a quelle dianzi ricordate per il caso di strade sepolte. Qualora esse si trovino a piccola distanza dalla superficie del terreno può sopravvenire un altro fatto per accentuarne la visibilità e precisamente. la presenza di detriti superficiali, sia residuati da tempo antico, sia di affioramento recente: per opere di aratura che abbiano raggiunto queste formazioni. . In questo ultimo caso i detriti vengono maggiormente dilatati sul terreno, formando delle macchie visibili in particolari condizioni di luce, e specialmente ccn riprese oblique effettuate cioè con luce radente che metta in particolare rilievo i riflessi delle particelle di materiale diverse da quelle del terreno che le circonda. .

Fossati e trincee : gli antichi fossati sepolti oppure le trincee, le reti fluviali o le opere di bonifica abbandonate, sono facilmente riconoscibili negli attuali rilevamenti aerei per il fatto che il terreno ad essi soprastante risulta generalmente più umido del rimanente e la stessa vegetazione sia naturale che di cultura, avendo una maggiore pro fondità di respiro, presenta naturalmente un maggiore sviluppo tanto che può essere in alcuni casi visibile anche all’osservatore di superficie.

Nello stesso modo vengono denunciate le antiche diramazioni fluviali e i letti di fiu mi abbandonati, che sì disegnano tutti sul terreno con l’evidenza di una radiografia.

Cavità sotterranee : è noto che nelle necropoli italiane sono frequenti le formazioni contenenti camere sepolcrali ad una distanza, dalla superficie attuale del terreno varia bile da 2 a 5 metri. Gli stessi principi accennati nei casi precedenti si applicano a queste formazioni per spiegare la diversa tonalità del terreno di superficie e dello sviluppo della vegetazione in corrispondenza a queste formazioni.

Naturalmente le formazioni più vicine alla superficie sono quelle che offrono le indi cazioni più nette e la loro evidenza, come è certamente noto, è stata dimostrata da ec cezionali fotografie riprese durante la guerra, dal servizio di ricognizione della R.A.F., su alcune necropoli delle zcne centrali italiane.

Oltre all’esistenza di queste cavità sepolcrali le fotografie, in molti casi, permettono . di determinare la posizione della porta di ingresso di queste formazioni. In fatti questa porta fa capo ad una trincea di accesso, successivamente ricoperta di terra. È naturale che in questa sezione il terreno risulti più umido del rimenente e quindi ne sia possibile il rilievo nella fotografia da un tipico segno di tonalità più scura, accentuata spesso dalla presenza di una vegetazione più ricca, che in alcuni casi è visibile anche all’osservatore di superficie.

Vi sono dei casi in cui le formazioni murarie a camera sepolte sono denunciate dalla. presenza di detriti superficiali, rimasti sin dal tempo in cui le tombe furono costruite.

Questo fatto si verifica quando per la costruzione di queste formazioni murarie sono stati impiegati materiali diversi da quelli del terreno nel quale le camere sono scavate. Nel corso della costruzione di queste opere molti piccoli detriti di pietrame sono rima sti frammisti al terreno che ha ricoperto le formazioni e questi destriti, anche se rimossi dalle opere di aratura superficiale, hanno conservato, anche se ingrandita, la stessa forma delle formazioni originali e sono in molti casi individuabili specialmente con fotografie a luce radente.

In altri casi la ricopertura di queste formazioni sepolcrali, fatte con materiali diversi, è risultata così vicina alla superficie del terreno che recenti opere di aratura profonda, come quelle che si verificano nei comprensori di bonifica, le hanno fatte affiorare metten




dole in luce in modo molto evidente, sia nelle fotografie aeree sia anche per gli osserva» tori di superficie.

Bastioni di difesa : si può verificare il caso di opele, come bastioni di difesa o murature di separazione, sepolte da secoli, che diano luogo ad una lieve ondulazione del terreno, praticamente non avvertita da un osservatore di superficie, ma suscettibile di essere messa in evidenza da fotografie a luce radente, cioè con ombre portate, che accen tuino le zone di ombra e di luce causate dalle ondulazioni del terreno.

Vi sono delle fotografie che hanno messo in evidenza antiche opere di fortificazione e di varia costruzione, specialmente nelle regioni dell’antico Impero Romano, dove molte opere dell’uomo sono state sommerse da strati di sabbia, da altri detriti o da terreno di coltura.

Accenniamo ora ad alcuni fattori, di carattere stagionale o climatico, che influiscono sulla formazione di tracce visibili nelle fotografie aeree:

Prosciugamento del terreno : nella stagione estiva l’osservazione del prosciugamento del terreno dopo una precipitazione atmosferica, può dar luogo in località di carattere ar cheologico ed in particolare su antiche necropoli, a fenomeni di prosciugamento differen ziato che in un rilevamento aereo, preso naturalmente a tempo opportuno, possono de nunciare la presenza di formazioni vicine alla superficie, in corrispondenza alle quali il terreno si prosciuga più rapidamente e dà luogo quindi ad una tonalità più chiara.

Ingiallimento della vegetazione : nella stagione autunnale si può osservare un in giallimento precoce della vegetazione in corrispondenza a zone più asciutte e pertanto, nel caso di formazioni archeologiche sepolte, specialmente di necropoli comprendenti tombe a camera, a piccola distanza dalla superficie del terreno, una fotografia aerea può mettere in particolare rilievo, se presa nella stagione autunnale inoltrata e con schermi opportuni, l’impoverimento precoce della vegetazione e quindi offrire delle segnalazioni abbastanza precise sulla presenza di tombe ancora inesplorate.

Segnalazioni date dalla neve : quando vi siano formazioni murarie a piccola distan za dalla superficie, si può verificare il fatto che lo strato di neve formatosi durante l’in verno ritardi a sciogliersi, per effetto del maggiore freddo accumulato nella formazione muraria sottostante che, per avere una minore conducibilità termica del terreno circo stante, conserva più a lungo il freddo.

Viceversa antichi fossati, anse fluviali e diramazioni idriche abbandonate e ora ri coperte da terreno di coltura livellato, danno luogo al fenomeno opposto, in quanto lo strato di neve ad essi sovrastante si scioglie più rapidamente del rimanente, consentendo di rivelare queste formazioni assolutamente invisibili in superficie.

Naturalmente i reperimenti in fotografie aeree di questi fenomeni sono possibili sol tanto in casi particolari che accenniamo solo a titolo di curiosità, perché generalmente le stesse formazioni archeologiche risultano reperibili a mezzo di differenze tonali nelle fotografie aeree nel corso assai più prolungato di altre stagioni dell’anno.

Fattori che influenzano il rendimento delle fotografie aeree a scopo archeologico : i principali fattori che contribuiscono a rendere utilizzabili, per finalità archeologiche, i ri levamenti aerei possono essere riassunti nei gruppi seguenti: fattori tecnici, stagionali e geomorfologici. 1) Fattori tecnici: crediamo superfluo accennare alla necessità di un tipo mo derno di apparecchio di ripresa e di descriverne le caratteristiche. Ci limitiamo a far presente che la scala delle fotografie necessarie per lo studio dei segni archeologici del ter reno deve essere compresa tra I : 1.000 € I : 5.000 per le indagini di dettaglio, da I : 5.000 4/1 : 10.000 per l'esame ordinario di zone archeologiche anche di vasta importanza, men




tre per lo studio di grandi reti stradali o fluviali e per lo studio delle centuriazioni ser vono ugualmente fotogrammi anche a piccola scala da I : 10.000 a I : 25.000. -

Materiali sensibili e filtri è 1 film pancromatici possono servire nella grande maggio ranza dei casi, mentre per quanto riguarda gli schermi questi vanno scelti per ogni caso particolare in relazione alla tonalità del terreno, alla natura della vegetazione, all’ora della ripresa ed alla stagione. 2) Fattori stagionali: comeè facile dedurre da quanto abbiamo esposto in precedenza, la stagione più opportuna per i rilevamenti aerei è quella nella quale la vegetazione è appena in erba, oppure quando nelle zone coltivate è stata già effettuata la falciatura e l’aratura. Nelle zone italiane i mesi da maggio a luglio, oppure il tardo au tunno, sono considerati le stagioni più favorevoli.

L'ora della ripresa influisce sullo sviluppo in fotografia delle ombre portate e sull’evi denza dei detriti superficiali disseminati sul terreno.

Le condizioni meteorologiche hanno la loro importanza per tutti i segni del terreno con nessi con la diversa distribuzione dell'umidità. Non è pertanto conveniente effettuare riprese nelle stagioni priovose e conviene quindi attendere che si verifichi un maggior grado di differenziazione della distribuzione di umidità negli strati superficiali del terreno, 3) Fattori geomorfologici: l'influenza di questi fattori si può riassu mere affermando che le formazioni archeologiche sepolte risultano tanto più reperibili dall’osservazione di fotografie aeree quanto più esse si trovano sommerse in un terreno relativamente omogeneo, con caratteristiche uniformi che consentano una differenzia zione netta delle variazioni di umidità, permeabilità e composizione, perché in questi casi 1 segni causati dall’esistenza di queste formazioni sepolte risulteranno più evidenti e di più facile interpretazione.

Norme pratiche per i rilevamenti a scopo archeologico : dal breve cenno che abbiamo fatto sui fattori che influenzano il rendimento di una fotografia area per finalità archeo logiche, è facile dedurre la pratica impossibilità di ottenere in ogni caso particolare la realizzazione di un optimum di rendimento, a meno che non si prescinda dal fattore eco nomico, cioè si possa scegliere per ogni singola località la stagione, il momento, la luce, lo sviluppo della vegetazione, e le condizioni metereologiche più appropriate.

Per l'esecuzione pratica di rilevamenti aerei è sufficiente che siano soddisfatte le principali condizioni atte ad assicurare un soddisfacente rendimento dei principali fat tori che contribuiscono a rendere evidenti tutti i segni che sono in correlazione con l’esi stenza di formazioni sepolte. Non bisogna infatti dimenticare che il rilevamento aereo costituisce una delle voci di spesa più rilevanti.

Una volta determinata la zona da esplorare si dovrà stabilire, in relazione alla na tura del terreno, alla sua tonalità e alla vegetazione di superficie, la stagione di ripresa più adatta. Le fotografie dovranno comprendere delle strisciate con sovrapposizione non inferiore al 50 % per consentire l’esame stereoscopico di tutti i fotogrammi, dovranno essere riprese in due ore diverse della giornata, per differenziare le indicazioni delle om bre portate da quelle dovute alla diversa tonalità del terreno e della vegetazione. . Imoltre dovranno pure essere riprese delle fotografie oblique per mettere in rilievo, se la coltre vegetale lo consente, i segni caratteristici degli eventuali detriti superficiali.

Soltanto quando occorra un rilevamento di dettaglio e sia opportuno esaltare al mas simo, nei fotogrammi, le diverse tonalità di colore del terreno e il differente sviluppo o contenuto di clorofilla della vegetazione, converrà effettuare altre riprese particolari dopo aver accertato, con misurazioni fotometriche del terreno, il tipo di schermo necessario per ogni singola ripresa.






Coordinamento dei rilievi aerofotografici con ricerche geofisiche ; nella ricerca archeo logica moderna si viene sempre più affermando, oltre alla collaborazione del rilievo aero fotografico, quella del rilievo geologico, che permette di interpretare la natura geolitolo gica del terreno ed i segni che rivelano l’evoluzione delle condizioni superficiali nelle di verse età storiche, e quella del geofisico per l’esame di ogni indizio, effettuato con mezzi di prospezione analoghi a quelli impiegati per la ricerca di strutture e di minerali sepolti, che permetta di chiarire il significato delle indicazioni offerte dai rilevamenti aerei e so prattutto di localizzare con precisione l’ubicazione di determinate formazioni che sia op portuno esplorare indirettamente prima di effettuare le operazioni di scavo.

Recentemente in Italia si sono realizzate notevoli affermazioni in questo campo, mediante l’opportuno coordinamento tra le ricerche aeree e quelle geofisiche, coordina mento che ha consentito un rapido esame di dettaglio di formazioni archeologiche, offrendo un orientamento sicuro per le successive operazioni di scavo.

L'introduzione di mezzi scientifici, come quelli impiegati nelle operazioni di prospe zione geofisica, ha portato necessariamente la necessità di una pianificazione delle esplo razioni di ricerca, intesa col fine di assicurare una metodica e organica utilizzazione dei mezzi impiegati e del personale, di inquadrare cioè le operazioni in un piano economico che assicuri il massimo rendimento dei lavori e, pur sempre rispettando le esigenze di una ricerca archeologica, vengano condotti con il metodo e la disciplina di una ricerca indu striale. .

La ricerca archeologica si vale quindi oggi di mezzi scientifici e di rilievi aerei come mai è stato fatto in passato e la risonanza di recenti scoperte, durante l’esecuzione di cam pagne effettuate in una necropoli dell’Italia centrale, ha contribuito a richiamare l’atten zione dell’opinione pubblica sull'importanza del contributo offerto da questi nuovi me todi alla valorizzazione di località di interesse archeologico.

Esempi di recenti applicazioni in Italia :

Le applicazioni pratiche alle quali accenneremo sono state realizzate con la colla borazione della Sovrintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale, che ha dimostrato di comprendere ed apprezzare l’apporto dato da questi nuovi mezzi di indagine.

Il Prof. Renato Bartoccini, nel facilitare in ogni modo questi esperimenti, ha reso un grande servizio alla causa dell'archeologia, come lo dimostra l’interesse suscitato nella stampa di tutto il mondo.

I) Fabriano:Il primo esempio di ricerca di nuove formazioni, realizzate in base ‘ all’esame di rilevamenti aerei e successivamente confermato da indagini geofisiche e da, scavi archeologici, è stato realizzato nella zona di Fabriano e precisamente nell’alta valle del Giano, in prossimità dell’abitato della città, lungo la strada statale 76. È stato uti lizzato un rilievo aereo effettuato dall’Istituto Geografico Militare nel settembre 1949.

L'esame di questo rilievo, opportunamente ingrandito, ha permesso di localizzare un gruppo di formazioni circolari, che presentano singolari analogie con le indicazioni già riscontrate su altre fotografie di necropoli etrusche.

L'esame di altri fotogrammi della stessa zona, effettuati in epoche anteriori ed in di verse stagioni durante la guerra, fotogrammi rintracciati nelle raccolte esistenti a Roma presso gli Istituti Svedese e Britannico, hanno permesso di rintracciare le stesse indica zioni e di localizzarne anzi delle nuove.

L’aver potuto esaminare e confrontare fotogrammi ripresi sulla stessa località in di verse stagioni è stato indubbiamente di grande vantaggio, perché è stato possibile iden tificare sia formazioni dovute a diversa tonalità del colore del terreno sia altre derivate dalla diversa intensità di vegetazione o da detriti disseminati sul terreno.

L'esistenza di alture in prossimità della zona ha consentito di riprendere delle foto




. 61 grafie a luce radente che hanno messo in particolare rilievo alcune delle formazioni netta mente disegnate da macchie sul terreno, causate dall’esistenza di detriti di materiali diversi da quelli del terreno di copertura.

Trattandosi infatti di una località alluvionale, con strati alternati di sabbia e di ar gilla sotto lo strato superficiale, ricoperto di vegetazione naturale o di coltura, era logico prevedere che le eventuali formazioni dovessero comprendere rivestimenti o coperture co stituiti da materiali pietrosi trasportati dalle cave più vicine.

La presenza dei detriti superficiali di questi materiali ha reso più facile l’identifica zione dei punti corrispondenti alle indicazioni segnate sul fotogramma.

Sono state scelte a caso tre formazioni, attraverso le quali è stato effettuato un pro filo di resistività, per constatare le eventuali anomalie che avrebbero dovuto confermare per lo meno l’esistenza delle formazioni stesse.

L'esperimento ha dato esito positivo immediato in quanto le tre formazioni prescelte per la prova hanno rivelato essere tre tombe di epoca picena, scavate nel terreno allu vionale e ricoperte ciascuna da uno strato di grosse pietre del peso complessivo di parec chie tonnellate.

Le tombe sono apparse inviolate, ma col corredo funerario completamente schiacciato dal pietrame di copertura, che evidentemente ha travolto le travature che dovevano pro teggere i loculi. 2) Tarquinia: una seconda ricerca è stata effettuata nella necropoli etrusca di Tarquinia, e precisamente nella zona di Monterozzi, nella quale numerose tracce di an tichi tumuli etruschi affioranti sono rivelate con eccezionale nitidezza dai rilevamenti aerei per il fatto che l’'aratura profonda della zona, che è compresa in un comprensorio di bonifica, ha praticamente livellato le sommità di molte formazioni sepolte, facendo affiorare il materiale di copertura che è di natura diversa da quella del terreno circo stante.

Le macchie di materiale calcareo, di tonalità più chiara del terreno, rappresentano in forma molto dilatata le formazioni sottostanti. E appunto sulle basi delle indicazioni della fotografia è stato effettuato un primo esperimento di ricerca con l’aiuto di mezzi geo fisici. Precisamente è stato effettuato un gruppo di profili elettrici che hanno permesso di individuare alcune cavità sepolte, cavità che di norma non risultano collocate al cen tro delle formazioni dei fotogrammi, ma ne sono sensibilmente spostate, come del resto si verifica sovente nelle tombe etrusche. La dilatazione delle indicazioni superficiali, cau sata dalle colture, accentua l'errore e rende pertanto necessario un accertamento geofi sico.

Le misure di resistività elettrica hanno anche in questo caso dato esito positivo e permesso quindi di ubicare il punto esatto dei loculi, che sono stati successivamente esplo rati mediante una perforazione e quindi, per la prima volta, con l'introduzione di una ap parecchiatura fotografica provvista di flash elettronico che ha permesso di ottenere una, serie completa di fotogrammi che hanno offerto una rappresentazione completa dello stato di conservazione delle pareti e di ogni altra parte dei loculi, che sono apparsi spo gliati di ogni arredo perché evidentemente aperti in epoca molto remota da precedenti esploratori.

I due esperimenti di Fabriano e di Tarquinia hanno offerto la conferma dell’utilità dei rilevamenti aerei per l’accertamento di alcuni tipi di formazioni archeologiche, ed hanno pure messo in evidenza la necessità di integrare rilevamenti aerei con mezzi geo fisici per identificare la località esatta delle formazioni stesse ed orientare così, in modo preciso e definitivo, le operazioni successive di scavo.

Queste prime ricerche hanno offerto così la base sicura per l’organizzazione della prima campagna organica, su grande scala, organizzata in Italia, e tuttora in corso, per l'’identificazione delle formazioni di una grande necropoli etrusca a Nord-Est di Roma.




3) Necropoli di Monte Abbatone (Cerveteri): perlo studio pre liminare di questa necropoli si è utilizzato un rilevamento aereo effettuato nel 1944. Il grande numero di formazioni rivelate in questo fotogramma, se da una parte ha per messo la preparazione di una pianta preliminare della necropoli, non ha potuto d'altra parte offrire indicazioni sufficienti per la localizzazione esatta, e questo a causa dell’ec cessivo numero di queste formazioni che hanno in genere dimensioni limitate, per cui un errore, anche di qualche metro soltanto, può rendere sterile una perforazione di controllo

L’identificazione esatta dei loculi sepolcrali è stata effettuata mediante sondaggi elettrici orizzontali, che non hanno sempre datc esito positivo in causa dell’eccessiva variabilità delle caratteristiche di resistività del terreno, oppure per la grande densità delle formazioni troppo vicine le une alle altre.

Dove le formazioni sono più diradate la loro identificazione è facilitata dalle caratte ristiche differenziate della vegetazione di superficie che risulta meno sviluppata sopra le formazioni stesse e singolarmente accentuata in corrispondenza degli antichi scavi effet tuati per la costruzione della trincea di accesso.

I lavori di ricerca sono stati effettuati da una squadra completamente attrezzata con potenziometri elettrici, sonde elettriche e sonde a motore e tutte le apparecchiature ausiliarie previste per un lavoro prolungato di campagna. Fra queste è stata applicata, per la prima volta, un nuovo tipo di apparecchiatura fotografica ideata dalla Fonda zione Lerici che consente, attraverso fori di sonda del diametro di appena 60 mm., di introdurre una apparecchiatura munita di flash elettronico che può scattare con rapidità fino a 50 fotogrammi a diverse altezze dal suolo delle formazioni, per poterne ritrarre tutte le caratteristiche, denunciando così lo stato di conservazione e l’eventuale esistenza di arredi che possano giustificare l'apertura delle formazioni.

I risultati ottenuti hanno superato ogni previsione, in quanto nelle prime quattro settimane sono state identificate e fotografate oltre 100 formazioni, delle quali non meno di 20 sono state riscontrate ancora sufficientemente dotate di arredi che sono stati tutti raccolti presso l'Ufficio Scavi della Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridio nale.

Gli arredi recuperati comprendono pezzi di eccezionale valore archeologico. Si pre vede che entro il mese di maggio sarà ultimata l’indagine su altre 300 formazioni con il recupero di un ingente materiale archeologico, sottratto alle continue razzie dei saccheg giatori clandestini che da tempo immemorabile hanno lavorato in questa zona, rendendo sterili almeno il 75 % delle formazioni sepolcrali esistenti.

Allegato G LA FOTOINTERPRETAZIONE NELLA FOTOGRAMMETRIA DEI MONUMENTI ED IN GENERE NEL RESTAURO DELLE OPERE D'ARTE Relatore : Dott. GIAN PreRo LE DIVELECH

Accingendomi a parlare della fotointerpretazione in materia di restauro dei monu menti, sono costretto immediatamente a cercare di definire che cosa, in questo preciso campo, debba intendersi come fotointerpretazione e quali siano le caratteristiche che, da tale punto di vista, differenziano la fotogrammetria dei monumenti dalle altre applica zioni della nostra tecnica.

Anzi, credo che dovrò addirittura, senza timore di passare per eccessivamente so fistico, definire il significato di « fotogrammetria dei monumenti ». Con questo termine, fin dalle origini, si è inteso parlare dell’applicazione della fotogrammetria o al solo rilievo architettonico (Dolezal, Rapporto Generale della Commissione VI al Congresso Interna




zionale dell'Aia) o al rilievo di opere di architettura e di scultura (Cassinis, Belfiore, Pra telli, Relazione del Ministero Belga dei Lavori Pubblici e della Ricostruzione al Congresso di Stoccolma). Non mi sembra, salvo errore, che se ne sia mai estesa l’applicazione all’im piego della fotogrammetria nel restauro delle opere di pittura od in genere nelle investi gazioni critiche sulle opere pittoriche, in quelle di attribuzione ecc.

Questa differenziazione tra arti tridimensionali e arte pittorica se ha l’inconveniente di aver lasciato nell'ombra, dal punto di vista fotogrammetrico, un campo interessan tissimo di applicazione non topografica, un campo anzi di interesse universale (il restauro delle opere pittoriche o l'identificazione dell’autore di un quadro sono infatti problemi altrettanto attuali in America quanto in Europa) è la conseguenza logica, a mio avviso, dell’aspetto profondamente diverso che presenta l’utilizzazione della fotogrammetria nel campo della scultura e dell’architettura da un lato, e nel campo della pittura dall’altro.

L'interesse degli specialisti e del pubblico si è volto verso la fotogrammetria dei mo numenti, mosso dalla preoccupazione di ottenere, con la restituzione fotogrammetrica, l'esattezza la più assoluta nel rilievo delle opere dei maestri del passato, e di assicurarsi la possibilità di ricostruirle conservando, con filiale rispetto e devozione, fino nei minimi dettagli, all'opera antica tutta la sua raffinatezza e le sue più intime sfumature particolari. La tragica sorte subita nel corso delle due guerre mondiali da tanta parte del patrimonio artistico europeo e la continua minaccia che tuttora vi incombe, hanno dato alla pos sibilità di salvezza offertaci dalla costituzione di un archivio fotogrammetrico una dram matica urgenza. Non è che accessoriamente, per così dire, che si è pensato all’utilizzazione dei fotogrammi per la ricerca, ad esempio, « di quelle sfumature così rivelatrici talvolta che il loro esame può condurre a conclusioni essenziali sul valore plastico o sulla crono logia di un edificio », come si esprime la già citata relazione belga al Congresso di Stoc colma.

Nel campo pittorico invece nessun rilievo fotogrammetrico, nessun studio delle ma telie impiegate potrà mai, allo stato attuale della scienza perlomeno, renderci un Tiziano distrutto o permettere di ricostruire un Cezanne. Il ricorso alla fotografia e alla fotointer pretazione, poco conosciuto ma preziosissimo anche in questo campo, viene ad assumervi un aspetto soprattutto diagnostico, come in materia medica, o investigativo.

Questa diversità fondamentale tra gli scopi perseguiti nei due gruppi di ricerche si ripercuote particolarmente nel campo della fotointerpretazione.

Ed eccoci alla definizione di fotointerpretazione. Certo se come suggerisce, un po” umoristicamente forse, la relazione nazionale francese al Congresso di Stoccolma, tutto in fotogrammetria è interpretazione e «il restitutore che opera a un apparecchio fa dell’in terpretazione, ogni volta che traccia un dettaglio planimetrico », si può parlare di fo tointerpretazione anche in materia di fotogrammetria architettonica o di fotogrammetria applicata alla scultura.

Ma se, come è mia opinione, si deve considerare come « fotointerpretazione » distin ta dalla fotolettura, con le parole di uno tra i più autorevoli cultori italiani della materia, il tenente colonnello Schmiedt, « Ie regole che consentono di dedurre, da quanto si vede sulla fotografia, alcuni aspetti di ciò che non si può vedere », io credo che in materia di opere di architettura e di scultura, si dovrà parlare di fotolettura stereoscopica o non ste reoscopica, e non di fotointerpretazione. Anzi mi sembra che la fotointerpretazione, pre sa nel suo pieno significato, potrebbe in questo campo esser pericolosissima e condurre, per esempio in materia di attribuzione, ad errori grossolani.

Ho parlato di fotolettura stereoscopica o non stereoscopica. Spesso infatti, quando si tratti di sculture o di opere architettoniche, intorno alle quali è facile spostarsi o piaz zare l'apparecchio nella posizione adeguata, la fotografia normale, presa volontariamente sotto un determinato angolo, con illuminazione opportunamente scelta, permette una conoscenza altrettanto precisa del dettaglio ricercato quanto la fotografia stereoscopica.






Nell'ipotesi di fotografie a luce radente si può addirittura chiedersi se la stereoscopia non provocherebbe in determinati casi errori di lettura. Gran parte del copiosissimo ar chivio fotografico tedesco in materia di monumenti, iniziato ormai è un secolo dal May denbaur, non è stereoscopico.

Nel 1946, a Firenze, profittando dello spostamento della statua, per misura precau zionale, durante la guerra, uno dei più conosciuti specialisti italiani di fotografia, l'Ing. Vincenzo Balocchi e un cineasta, il dott. Giacomo Pozzi-Bellini, hanno proceduto, utiliz zando un apparecchio Leica con teleobbiettivo, a uno studio accuratissimo ai fini di re stauro della Giuditta del Donatello, studio che rappresenta uno degli sforzi più completi in tale direzione e che, con l’ausilio della sola fotografia non stereoscopica, è arrivato a permettere osservazioni rilevantissime sulla struttura del bronzo, su dettagli come la realizzazione dell'occhio ecc., costituendo una vera monografia fotografica dell’opera. Purtroppo non mi è stato possibile come speravo sottomettervi esempi precisi di tali fo tografie, andate a quanto mi risulta disperse in seguito all'abbandono, probabilmente per i soliti motivi finanziari, del progetto di restauro.

Naturalmente, a partire dal momento in cui lo scopo principale perseguito nelle riprese diviene la restituzione eventuale, queste saranno soprattutto stereoscopiche, salvo ad impiegare in un primo tempo i fotogrammi stereoscopici per la fotolettura od anche ad eseguirli unicamente a tale scopo. Tale è stato il caso delle importantissime riprese, a proposito delle quali riferisce la già più volte citata relazione belga al Congresso di Stoc colma e che costituiscono il più recente e completo contributo alla fotogrammetria dei monumenti. I belgi disponevano a tale scopo, oltrre che dell’apparecchiatura di rilievo Galileo-Santoni, che ho già altre volte avuto occasione di descrivere (vedi « Luce e Imma gini » vol. IX n.i 2-3) di un’apparecchiatura sempre Galileo-Santoni, detta d'investigazio ne e specialmente destinata a fornire, con le parole del rapporto, un complemento d’in formazione tridimensionale, che non si può sperare veder figurare su un piano: fisionomia di statua, fiorone, dettaglio scolpito ecc. Questa apparecchiatura era costituita da un ap parecchio a pellicola « Condor », formato 4,5 X 6 munito di un dispositivo prismatico che permette l'impressione diretta sulla pellicola di coppie stereoscopiche, e da un certo numero di stereoscopi d'osservazione.

Dalla lettura del rapporto belga appare evidente che nell’opera intrapresa si è tenuto conto delle necessità della fotolettura, allo stesso titolo che di quelle della restituzione. Leggiamo infatti a p. 26 « È importante di sottolineare che i fotogrammi stereoscopici continueranno ad essere utili anche quando gli oggetti rappresentati saranno stati tra dotti in piani esatti. I fotogrammi infatti continueranno a rendere servizi paragonabili a quelli che gli aerofotogrammi rendono nel campo della geologia, della pedologia e della interpretazione in generale ».

Il seguito della pagina ci mostra che addirittura un certo numero di stereogrammi non saranno neppure destinati alla restituzione fotogrammetrica ma a « migliorare /'1n terpretazione architettonica ad esempio: stereogrammi ad asse obliquo rispetto alle mire d'orientamento, fotogrammi che mostrano un angolo o due parti di costruzione d'età diversa che si imbricano tra loro ». |

Per una serie di dettagli architettonici finalmente i belgi sembrano aver volontaria mente rinunciato alla stereoscopia e aver fatto ricorso alla fotografia semplice. Se esa miniamo infatti l'esempio della chiesa di San Giacomo a Liegi vediamo che oltre agli 83 stereogrammi (tra interno ed esterno), e ad un centinaio di vedute stereoscopiche di pic colo formato (d’'investigazione), sono state effettuate 32 vedute non stereoscopiche sia di dettagli architettonici che di vedute d’insieme.

Come ho già detto si può e si deve parlare di fotointerpretazione nel senso pieno del le parola quando si passa allo studio dell’impiego della fotografia nel restauro delle opere pittoriche.






A mia conoscenza per lo meno, in questo campo, le ricerche più interessanti sembrano esser state condotte da studiosi, che non erano affatto specialisti di stereofotografia. La prima pubblicazione in materia, salvo errore, è quella del Prof. Augusto Vermehren, già Consigliere Tecnico dell’Istituto Centrale del Restauro, e consulente del Gabinetto di Restauri delle Gallerie di Firenze, apparsa sul « Bolletino dell’Istituto Centrale del Re stauro » nel 1952 (n. 11-12).

Sono da segnalare anche due importanti articoli dovuti rispettivamente al Prof. RoBERTO CARITÀ : I} Restauro Scientifico delle Opere d’ Arie e ad ALDO RAZZI : La Clinica dei Capolavori, pubblicati nell'ultimo numero di «Civiltà delle Macchine » (gennaio febbraio 1957), quando già la presente relazione era stata stesa nelle sue linee di base, a cui ho potuto attingere dettagli e precisioni pieni di interesse.

Il Prof. Carità ed il Razzi sembrano aver avuto soprattutto contatti con l’Istituto Centrale del Restauro a Roma. Da parte mia invece ho studiato il problema al Labora ratorio di Restauri delle Gallerie di Firenze. Debbo qui ringraziare sentitamente il Dr. Procacci, Soprintendente alle Gallerie e Direttore del Gabinetto di Restauri di Firenze, - nonchè il già citato prof. Vermehren, geniale realizzatore di sorprendenti risultati, ot tenuti in mezzo a difficoltà di ogni ordine e nonostante la scarsezza di mezzi ben nota della Amministrazione delle Belle Arti in Italia, per tutte le facilitazioni che mi hanno offerto, per il tempo dedicatomi e per la documentazione messa a mia disposizione. È appunto al Prof. Vermehren che dobbiamo la progettazione teorica di quell’appa recchiatura stereo-strato-radiografica, costruita dalla ditta Rich Seifert di Amburgo, di cui il Carità ci dice che « parrebbe provvista di una umana sensibilità ». È dal 1935, attraverso vari tentativi che il Vermehren, appassionato cultore di ste reofotografia fin dall’infanzia, si era consacrato a risolvere, in materia di restauro, la dif ficoltà seguente: la lettura di un normale radiogramma di dipinto su tavola è spesso resa impossibile per il fatto che tale radiogramma viene ad esser costituito, oltre che dall’im magine della superficie pittorica, cioè da quella prodotta dalla maggiore o minore per meabilità ai raggi X di tutte le zone del colore, anche dalle immagini occasionali causate da tutte le impurità che possono venire a trovarsi nel supporto ligneo. Tra queste impurità che deturpano la radiografia, sono da annoverarsi ad esempio, le parti più spesse e dure del legno (nodi, venature semplici o a traccia) i canali ed i fori prodotti da tarli e riempiti di gesso, i corpi estranei (chiodi o altro materiale metallico, sigilli di ceralacca, stuccature varie).

Lo scopo perseguito era quindi duplice.

I) escogitare un metodo che consentisse per quanto possibile di eliminare l’eccesso dei particolari di cui abbiamo parlato e la confusione d’interpretazione da loro ingene rata;

II) cercare di precisare la loro posizione spaziale.

L'apparecchiatura, cui ho fatto allusione, per la descrizione dei principi ai quali si inspira sono costretto per non uscire dal mio tema di rinviare i miei ascoltatori al già ci tato fascicolo del Bollettino dell’Istituto Centrale del Restauro, consente, per mezzo di congegni elettro-automatici, la facile esecuzione delle seguenti radiografie: a) radiografia semplice, con proiezione fissa, ottenuta dalla sorgente di raggi X. centrata sul soggetto; b) due radiografie stereoscopiche (immagini destra e sinistra del soggetto); c) radiostratografia pendolare nelle più svariate direzioni; d) radiostratografia rotatoria, volendo anche rotatoria e pendolare nello stesso tempo, mediante contemporanei movimenti.

Per comprensibili difficoltà materiali, non mi è possibile, come lo avrei desiderato, presentarVi qui proiezioni di coppie stereoscopiche. Se tuttavia vorrete soffermarVi, nel




locale adiacente, al tavolo fornito di uno stereoscopio, vi sarà possibile di esaminare, su alcuni esempi pratici, i prodigiosi risultati ottenuti con l’impiego della stereoradiografia, e che giungono a precisare la posizione spaziale di tutte le immagini presenti nel radio gramma.

Quanto alla stratografia essa consente addirittura, in un’ulteriore fase della ricerca, l'eliminazione, in molti casi totale, in alcuni soltanto parziale, delle impurità del supporto ligneo. Essa si può rivelare indispensabile, ad esempio, nel caso di una tavola dipinta, da ambedue le parti. In tal caso ciascuna delle due parti, successivamente, dovrà esser considerata come «impurità », rispetto all’altra.

Da questa prima utilizzazione della stereoscopia nell’interpretazione del radiogram ma si è passati all’utilizzazione di stereofotografie, di stereomacrofotografie e di stereo microfotografie per la soluzione di altri determinati problemi di interpretazione. Anche di questo procedimento vi sarà possibile di apprezzare allo stereoscopio alcuni resultati nel locale adiacente, grazie alla cortesia del prof. Vermehren che mi ha concesso di ser virmi di una parte della sua documentazione.

Voglio tuttavia citare un esempio, che non mi è possibile di documentare visual mente e che mi sembra eminentemente caratteristico dei resultati cui si può giungere con l’impiego della stereoscopia. Su di una tavola trecentesca in esame all'Istituto Cen trale del Restauro a Roma, si era deposta una goccia di cera che fu asportata con gli abi tuali solventi. Tale asportazione fece apparire un colore più chiaro di quello dell'insieme del quadro. Nacque il problema di decidere se tale colore più chiaro rappresentasse l’ul tima velatura intatta o meno del colore originale o se invece si dovesse interpretarlo co me la preparazione del colore. La soluzione era da ricercarsi nell’apprezzamento di una differenza di altezza di circa un micron. Tale apprezzamento fu possibile ricorrendo ad una macrostereoscopia con angolo opportunamente forzato.

Sempre ai fini del restauro l’impiego della stereoscopia è preceduto o completato da quello delle diverse tecniche della fotografia non stereoscopica. Costretto ad essere il più breve possibile, consiglio a quelli fra i miei ascoltatori che fossero maggiormente in teressati alla questione, la lettura dei già citati articoli del Carità e del Raggi. Vi vedranno che quando un’opera viene affidata all'Istituto Centrale del Restauro, essa è accompa gnata da un dosster completo, che comporta, tra l’altro, la documentazione fotografica dello stato precedente al restauro. I danni riscontrati che non potessero risultare chiara mente sulla lastra fotogiafica vengono indicati, in un secondo tempo, sulle fotografie, con inchiostri di vari colori.

Il mosaico fotografico o radiofotografico è impiegato sia nella ricerca (per il Martirio di San Matteo del Caravaggio un unico mosaico di centosedici radiografie ha permesso la scoperta di una precedente redazione dello stesso soggetto, nascosta dalla redazione definitiva e la sua ricostruzione grafica) sia nel restauro degli affreschi (Santa Maria della Verità a Viterbo, Camposanto di Pisa, Cappella degli Eremitani di Padova). A Santa Ma ria della Verità l’impiego di ingrandimenti fotografici ha contribuito a ricomporre un affresco intero da frammenti minutissimi, spesso più piccoli di 2 cmq.

La fotografia con luce monocromatica fornisce una riproduzione falsata, ma che pone opportunamente in evidenza il disegno e le forme, dandoci di un’opera non ancora restaurata un'immagine assai vicina a quella che essa presenterà dopo la pulitura.

La fotografia ai raggi infrarossi, su lastre ultrasensibili, penetrando lievissimamente in profondità, dà un'immagine che non corrisponde alla realtà ma ci fornisce particolari altrimenti non visibili, quali i tratti del disegno o le figure cancellate dal pittore stesso, soprammettendovi altri colori.

L’esame diretto alla fluorescenza dei raggi ultravioletti ricorrendo alla lampada di Wood, è prezioso per la ricerca dei ritocchi. La fluorescenza dei colori infatti è propor zionale alla loro età e diviene nulla per i più recenti, che quindi, in caso di ritocco, ap




paiono nell'immagine come macchie nerastre. L’esame di fotografie prese alla luce di Wood. pone tuttavia delicatissimi problemi d’interpretazione, messi in chiara evidenza dal prof. Carità nel citato articolo: le vernici fermano le radiazioni, quindi un ritocco coperto di vernice non si presenterà nella immagine come macchia scura, mentre una parte originale, priva di vernice, potrà sembrare nera, in mezzo al ritocco verniciato. Esi stono poi dei verdi, anche antichi, negativi alla fluorescenza. Tra le tecniche più recenti utilizzate nel laboratorio di Restauri di Firenze una delle più interessanti è quella della fotografia «a luce radente massima», che si ottiene coll’inviare sulla superficie del quadro un fascio limitato di luce normale con incidenza minima. Il giuoco delle ombre mette in tal modo in evidenza e quasi in rilievo tutti i minimi particolari della superficie stessa. Il prof. Vermehren non ha in generale praticato tale tipo di fotografia che in forma non stereoscopica. La mancanza di mezzi adeguati non gli ha permesso finora di spingere le sue ricerche verso una formula di coppie stereoscopiche a luce radente di sicura interpre tazione dalle quali avremmo diritto di attenderci resultati infinitamente più interessanti ancora di quelli, della cui importanza vi renderete ora conto.

Per cortesissima concessione della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze mi è con sentito infatti di far passare sotto i vostri occhi alcuni esempi dei resultati ottenuti con fotografie a luce radente massima e nen massima nello studio di uno dei problemi più spinosi che il laboratorio di Restauro di Firenze deve affrontare: la malattia di due fa mosissimi quadri del Bronzino.

Chiunque abbia visitato la Galleria degli Ufizi prima della gueria ricorda il ritratto di Lucrezia Panciatichi, la bella amante di Cosimo I° e quello di Bartolomeo Panciatichi, il marito impostole dal Granduca. Nè nell’uno nè nell’altro la fotografia ordinaria come l’occhio non rivelano niente di anormale. Il dettaglio della mano di Lucrezia sembra per fetto. Eppure i due quadri sono molto malati. Con erroneo accorgimento il Bronzino credette opportuno inserire tra il gesso che ricopre la tavola e la pellicola colorica uno strato di materia non identificata finora, solubile sia nell'acqua che nei solventi ordinari, come risulta da tre sezioni trasversali di particelle di colore praticate al Gabinetto di Re stauri di Firenze (un’altra analisi per lo meno è stata praticata al Centro Italiano del Restauro a Roma).

Il tempo aveva fatto soffrire ai quadri gli abituali danni di oscuramento e di impa stamento. Nel secolo scorso un malaccorto restauro con vernice a colla, destinato appunto a rimediare a questi danni del tempo, ha con la durezza della patina, provocato una contra zione del colore, che non aderisce più alla sua preparazione. I quadri sono stati fotogra fati a luce radente, opportunamente dosata per tener conto dell’incurvatura delle sin gole assi delle quali è composta la tavola, con apparecchio Zeiss Ikon 13 X 18, su lastre Ferrania panciomatiche, e sottoposti a ingrandimento fotografico normale.

La fotografia della mano presa in tali condizioni mostra con evidenza come il colore sì distacchi in minutissime parcelle. Una fotografia della testa a luce radente non massi ma comporta ancora, per quanto diminuita, l'immagine del contorno della testa stessa e svela le magagne più gravi della superficie (tra cui quella del collo). Un ultimo fotogram ma a luce radente massima non consente quasi più di vedere l’immagine della testa ma mette in pieno risalto lo stato morboso della superficie stessa. Anche per il ritratto di Bartolomeo la fotografia a luce radente rivela le pessime condizioni della pellicola colorica attraverso quantità di minuscoli sollevamenti del colore.

Il tempo stringe. Voglio tuttavia brevemente dire che il terreno del restauro delle opere pittoriche è dal punto di vista fotogrammetrico ancora quasi vergine. Che io sap pia, nessuna comunicazione è stata mai fatta sull’impiego, in tale campo, della restitu zione. Personalmente io non sono certo competente a studiare con quali accorgimenti vi si potrebbe ricorrere. Mi sembra tuttavia che la possibilità di impiego perlomeno di mi sure stereografiche sarebbe di grandissimo aiuto alla soluzione dei problemi del restauro.






Sarebbe interessante poter definire, ad esempio, in tal modo, se un’erosione analoga a quella che abbiamo visto poco fa sul collo di Lucrezia Panciatichi, aumenti di anno in anno, 0 se invece, ormai, il decorso del morbo sia stabilizzato. La restituzione fotogram metrica potrebbe facilitare una ricostruzione del tipo di quella della primitiva versione del Martirio di San Matteo del Caravaggio, cui ho accennato poco fa, e risolvere il problema del riporto nelle curvature originali dei frammenti facenti parte di una volta in casi ana loghi a quello di Santa Maria della Verità citato nel noto articolo del Raggi.

E, finalmente, ormai sono completamente fuori tema e mi limito ad un semplice accenno, l’identificazione di paternità contestata sarebbe grandemente facilitata se fosse possibile di completare uno studio fotointerpretativo generale, con una restituzione di particelle dell’opera che ci desse la misura esatta della grossezza della pennellata, che ci consentisse, parlando ora dei moderni, di riconoscere il colpo di spatola ed altri dati ca tatteristici della personalità di un autore.

Allegato H STEREOMICROMETRO CARTOGRAFICO SANTONI-GALILEO PER FOTOGRAFIE AEREE Comunicazione dell'Ing. E. SANTONI — Firenze

Sono conosciuti dispositivi ottico-meccanici (Stereomicrometri) atti alla misura delle parallassi orizzontali dei punti immagine di due fotografie stereoscopiche, generalmente prese da aeroplani.

Con questi dispositivi i valori (94) di tali parallassi vengono usati, mediante opportu ne formule, per calcolare con discreta approssimazione i dislivelli fra i varî punti del ter reno. In alcuni casi questi Stereomicrometri sono collegati a speciali dispositivi panto grafici che possono effettuare il disegno cartografico corrispondente alle fotografie osser vate.

Non citeremo le dette formule essendo assai note. Ricorderemo che esse sono rigorose nel presupposto che l’asse delle camere al momento di ogni presa sia stato verticale e che l'altezza di volo si sia mantenuta costante.

Ora è ben vero che anche nei più semplici Stereomicrometri è possibile effettuare la misura delle parallassi con l’approssimazione di circa un centesimo di millimetro, il che in teoria condurrebbe alla determinazione delle altezze quasi con la stessa precisione ottenibile nei normali restitutori, ma è altrettanto vero che le inclinazioni inevitabili (di uno o due gradi) dell’asse delle camere di presa e la mancata costanza, anche di pochi metri, dell’altezza di volo, conducono ad errori altimetrici di parecchie diecine di metri. D'altra parte il semplice riporto di scala della planimetria, effettuata con normali pantografi, conduce ad errori planimetrici di alcune centinaia di metri quando i disli velli del terreno sono dello stesso ordine, e questo avviene anche nel caso di prese ri gorosamente nadirali.

Un interessante studio sugli errori che si verificano negli Stereomicrometri in dipen denza delle inclinazioni dei fotogrammi venne effettuato qualche anno fa dal Prof. Solaini.

Per ovviare sopratutto agli errori altimetrici, o per lo meno contenerli, si sono aperte già da tempo tre strade. .

La prima, la più ovvia, consiste nel dotare le macchine di presa di dispositivi atti a mantenere verticale l’asse. Secondo questa strada avemmo l’occasione di esaminare




nel 1952, negli Stati Uniti d'America una interessante macchina da presa stabilizzata con giroscopio.

Una seconda strada, seguita anche dal Nistri in Italia, è quella di registrare foto graficamente i dati di inclinazione del fotogramma. Questi dati possono consentire, in un secondo tempo, di effettuare il raddrizzamento di ciascun fotogramma, dopo di che esso può essere usato nello Stereomicrometro.

Nello Stereomicrometro cartografico Santoni è stata seguita, con dispositivi originali, una terza strada, quella cicè di correggere le deformazioni plano-altimetriche nello stesso Stereomicrometro.

Per dare rapidamente una idea dei concetti seguiti, diremo che se volessimo grosso modo paragonare un normale restitutore ad un semplice Stereomicrometro collegato ad un pantografo a rapporto costante fra fotografia e disegno, dovremmo rilevare subito che la scala di ogni zona del fotogramma dipende dalla distanza di questa zona dall’obbietti vo e dalla focale di questo. Così un campo rettangolare situato sulla sommità di una col lina risulta a scala più grande di un campo delle stesse dimensioni situato su fondo valle. Per prima cosa occorre pertanto che il pantografo abbia un rapporto continuamente va riabile, ciò che in sostanza avviene in modo automatico in un normale restitutore,

Nello Sterteomicrometro Santoni con un semplice artificio meccanico che altera la focale di un determinato valore (d}) in funzione della variazione (dx) si ottiene egualmente in modo automatico la variazione di rapporto del pantografo al variare della quota del terreno.

Lo stesso valore (4/) fornisce, mediante una scala speciale, il valore del dislivello (ZH) del punto del terreno osservato rispetto ad un piano di riferimento.

In secondo luogo in un restitutore normale le due fotografie vengono piazzate con l'assetto angolare corrispondente al momento della presa. Si impongono così una inclina zione longitudinale (©) (nel piano di rotta), una inclinazione trasversale (w) ed un orienta mento (K) nel piano stesso del fotogramma.

Da analisi matematiche sappiamo che se nel piazzamento in un restitutore commet tiamo un errore comune (g) di inclinazione longitudinale le quote del terreno seguiranno lo stesso errore. Altrettanto avviene per un errore comune di inclinazione trasversale (©). È ovvio che nello Stereomicrometro, nel quale nessuna inclinazione (9) od (0) può essere imposta ai fotogrammi, otterremmo nella misura delle quote errori corrispondenti ad in clinazioni (9) ed (@) del modello.

Inoltre nella realtà i due valori (v) ed (@) non sono per le due prese rispettivamente uguali fra loro e noi sappiamo egualmente dalla teoria che un errore (dw) genera una torsione del modello ed un errore (do) con incurvamento parabolico. Anche di questi erro ri sarebbe affetta la restituzione in uno Stereomicrometro semplificato.

Per ovviare a questi gravi inconvenienti lo Stereomicrometro Santoni è stato provvi sto di uno speciale dispositivo detto « Correttore di quota » essenzialmente costituito da una superficie rigata che può essere opportunamente inclinata secondo (#) e secondo (%) ed opportunamente deformata pei torsione (4w) e flessione (do).

L'estremità libera di una leva munita di un piattello snodato (palpatore) poggia su questa superficie e la percorre mano mano che si effettua l’esplorazione stereoscopica del fotogramma. L'altra estremità libera della leva è collegata all’indice di lettura delle quo te, le quali così risultano automaticamente corrette degli errori (0, w, do, dw) di cui sa rebbe affetto il modello.

Nel caso di tracciamento di curve di livello, l'indice del correttore viene bloccato alla scala delle quote seco trascinando perciò il dispositivo che varia la (df) e quindi la (da).

Per utilizzare il « Correttore di quota » occorre disporre di qualche punto quotato sul terreno proveniente, a seconda dei casi, da livellazione topografica o misure barometriche.






Poiché il predetto correttore agisce in definitiva mediante variazioni supplementar. di parallasse (4x) e poiché queste variazioni sono funzione degli spostamenti (xy) rispetto al fotogramma, ne risulterebbero correzioni (4H) în difetto per punti sopraelevati dal pia no medio di riferimento ed î% eccesso per punti più bassi. Per avviare a questo ultimo in conveniente la trasmissione della leva all'indice di quota è stata realizzata tramite una seconda levetta a bracci automaticamente variabili in funzione della variazione di quota.

I risultati che possono essere conseguiti mediante i suddetti originali accorgimenti, sono veramente notevoli dato il tipo di istrumento, di basso costo e di facile impiego, che si è voluto realizzare.

Allegato I FOTOGRAFIE AEREE E ARCHEOLOGIA APPLICAZIONE ALLO STUDIO DEI CATASTI ROMANI Comunicazione del Prof. R. CHEVALIER — Parigi.

Come Francese, ringrazio il Professore Boaga di avermi permesso di parlare davanti ad un pubblico italiano così competente di un problema che mi interessa particolarmente e ringrazio gli organizzatori del congresso per la loro tanto gentile ospitalità. Questa re lazione su una delle applicazioni delle fotografie aeree all’archeologia, cioè lo studio dei catasti romani o centuriazione deve illustrare le fotografie esposte in nome dell’Istituto Geografico Nazionale di Parigi con il quale io lavoro da parecchi anni. (1)

La fotografia aerea permette infatti di dominare degli insiemi, quindi di studiare le civilizzazioni, e così l'Uomo nel suo ambiente. La carta schematica, astratta, concenzio nale rimane nel piano, mentre l’aereo, strumento docile e preciso, mostra il reale nella sua ampiezza, a tutte le scale, sotto ogni angolo, ad ogni ora, ad ogni stagione. La fotogra fia fissa questa visione, autorizza ritorni in indietro e confronti.

Non soltanto vediamo i monumenti sotto un angolo nuovo, ma quest'ultimi ci ap paiono nel loro quadro reale: alla carta archeologica dai punti con numero si sostituisce una carta per quadro, dato che la fotografia rivela anche delle rovine disperse, e questo è particolarmente importante nello studio dei catasti antichi.

Lo studio realizzato in Tunisia ci porta prima di tutto a parlare un poco sull'origine e l’importanza dei catasti antichi.

La divisione del suolo volle essere, all’origine, l’immagine del cosmos. Questa idea è così essenziale all’ Uomo che la ritroviamo nei primitivi contemporanei. Il catasto mo derno, fiscale e giuridico, è nato in Egitto, ove la piena del Nilo obbligava a riportare co stantemente aggiornate le basi dell’imposta fondiaria. Ma sono stati i Romani che, inven tando la cartografia, hanno immaginato il catasto fisso. Quest'ultimo seguiva la conqui sta, che andava spesso di pari passo con la scoperta. Aveva così uno scopo scientifico: la quadrettatura del catasto serviva di base allo stabilimento delle carte, oggi perdute. Ma questo strumento di colonizzazione ci permette ancora di ricostituire una civilizza zione e tutta la vita di un’epoca. Dal punto di vista politico, il catasto era il marchio di una presa di possesso: la conquista era come incisa nel suolo, e secondo il principio eterno «dividere per regnare », ciò isolava e spezzettava le montagne.

La popolazione era attaccata al suolo che le era stato assegnato e questa divisione (1) Mi compiaccio di citare qui il nome del mio amico e collaboratore, capo-inge gnere A. CAILLEMER. |




serviva di base all’imposta fondiaria. Infine il suo tracciato andava di pari passo con la messa in valore del paese per la costruzione delle strade e di un quadrato di poste e di granai, arterie del vettovagliamento di Roma. Si trattava di un vero sistemadi coordo nate tracciate sul terreno stesso. Dopo avere piantato due assi perpendicolari (il decu manus e il cardo), il misuratore o agrimensore portava ad ognuno di essi una serie di linee paralleli ed equidistanti, materializzate dalle strade, dai fossi, dai muri, dai canali. Le di visioni ottenute o centurie — la terra era in principio riservata ai veterani: una centuria per una compagnia di 100 uomini (100 famiglie) o per Capitano o Centurione. C'erano in Africa dei quadrati di 2.400 piedi di lato (710 m). La loro esistenza vi era conosciuta dai trattati dei geometri antichi e da qualche iscrizione, ma la loro estensione reale di scussa fino ai nostri giorni. Abbiamo potuto dare il primo esempio della utilizzazione ar cheologica sistematica dell'insieme delle fotografie di Tunisia realizzate per altri scopi (cartografia) e pubblicare un Atlante della centuriazione romana della Tunisia che è in fatti un nuovo Atlante archeologico. Ne sono esposte la carta d’insieme alla scala 1/500.000 e parecchi frammenti a colori alla scala 1/50.000.

Le fotografie aeree (più di 15.000 negative) della copertura realizzata dall’Istituto Geografico Nazionale di Parigi hanno permesso di rilevare quasi la totalità delle 30.000 centurie di cui parlava il codice teodosiano del 422.

Abbiamo potuto definire parecchi insiemi nelle centurie della Tunisia, ed ognuno sem bra corrispondere ad una fase decisiva dell’estensione della dominazione romana,

Il primo insieme che noi nomineremo gruppo Nord si estende su 15.000 Kmq. di terra ferma, ossia 150 Km. da Bizerta a Enfidaville e 180 Km. dal Capo Bon a Tebour souk, e la sua orientazione è data dall’alzarsi del sole al solstizio d’estate. È molto proba bile che questo catasto limitato al territorio dell'antica Africa si è sviluppato dalla cadu ta di Cartagine sin dallo stabilirsi dei Gracchi.

A Sud noi determiniamo un gruppo centro-Est su 120 Km. di lunghezza (dal Nord di sSousse al Sud di Chebba) e 30 Km di larghezza circa. Il fatto che tagli il precedente prova che è posteriore. Corrisponde infatti ad una nuova estensione della conquista ro mana dopo la vittoria di Cesare sui partigiani di Pompeo.

Un gruppo Sud-Est orientato verso il sole levante al solstizio d’inverno per rimanere perpendicolare alla direzione generale della costa, sembra corrispondere al territorio del porto d’Acholla.

Infine dei termini ritrovati nella regione dei Chotts (laghi salati) che portano dei nu meri di riferimento alle basi fanno supporre l’esistenza di un immenso catasto di cui gli assi collegherebbero un punto della costa algerina (tra Bòne e Philippeville) al fondo della piccola Syrte e il Capo Bon a Tebessa.

Le centurie ritrovate intorno a Haidra formano un sistema speciale, ma è prematuro per il momento di sapere se gli altri gruppi debbano integrarsi. In ogni caso tale progetto sembra che non abbia potuto essere realizzato a causa della sterilità dei terreni, della man canza dei coloni o dell’ostilità degli indigeni. Cesare senza dubbio ebbe una parte impor tante in questa organizzazione: s’interessava all’amministrazione municipale e conosceva il sistema egiziano. L'Imperatore Augusto riprese i piani. L’opera fu compiuta da Vespa siano.

La rete del catasto è di una stupefacente regolarità: gli assi sono rigorosamente pa ralleli su delle decine di chilometri. Questi tracciati, quando sono visibili al suolo, appa iono in terreni accidentati come delle striscie sinuose, inspiegabili. Si raddrizzano viste dall’aereo e si dispongono in modo geometrico: quindi i Romani arrivavano a concepire la visione aerea e operavano, per tracciare le loro carte, un vero allineamento (l’antica cul tellatio), ciò che fa supporre un piano d’insieme e una mano d’opera abbondante, data in particolare dai mercenari d'Oriente, che importarono nello stesso tempo la loro tecnica agricola. -




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Infatti la grandezza dell’insieme va di pari passo con la precisione nel dettaglio: le subdivisioni delle centurie (di 4 a 400 secondo lo stato attuale, l'ampiezza dei lotti, la natura delle colture) sono estremamente docili. Sui pendii, fossi e muretti, che segucno le curve di livello, servono di limiti e trasformano il terreno in una immensa spugna che protegge i suoli contro l’erosione, fa infiltrare la minima goccia d'acqua per poi portarla ai fianchi dei versanti, secondo la stagione e la vegetazione, e ricuperare l’eccedente. Que sto metodo, applicato su grande scala non potrebbe essere qualificato empirico; permet teva sopra i pendii fino ad una certa altitudine delle scalette d’alberi fruttiferi. La di sposizione delle viti di piano è differente.

Il catasto serve infine di trama a delle migliaia di rovine: città, piccoli borghi, fatto rie, molini, case olearie spesso costruite in mattoni seccati al sole che, distrutte dagli ele menti, si sono trasformate in ammassi di terra che non si notano più nel suolo e che abbiamo potuto scoprire.

La ricchezza delle sovrapposizioni sulla pellicola di questo immenso palinsesto va dai circoli preistorici alle fortezze bizantine senza contare le rovine arabe e moderne. In ogni modo è possibile costituire in base alla loro forma ed ubicazione, anche, con altri indizi: estensione del catasto, cambiamento d’orientazione, ampiezza dei possessi e natura delle coltivazioni, dei tipi che possono permettere di fissare una cronologia di relatività. Gli elementi e la mano dell’uomo hanno potuto far sparire qualche centurie. Si vede ciò utilizzando una rete su carta trasparente. Questi vuoti dividono dei gruppi che corrispon dono a delle città o a dei grandi domini di cui si può conoscere la superficie. I popoli in digeni erano messi in recinti nei massi infertili; succede che il loro territorio sia centuria to, senza dubbio a titolo di punizione in seguito ad una rivolta.

La centuriazione deve essere ricercata in ogni luogo dove sciamavano i coloni romani ossia su tutte le coste del Mediterraneo: si sa che i piani di tutte le colonie romane esiste vano, incise su bronzo, negli archivi di Roma. | In Africa del Nord, il catasto ha permesso alla civilizzazione latina di resistere ai Vandali. Soli il nomadismo e la coltura della palma rovinarono la politica romana. Il ca tasto serve ancora di quadro all’esistenza del paese: le grandi direzioni imposte dalla geo grafia sono rimaste le stesse, le città s’installano sempre all'incrocio delle vie antiche; aero porti si allineano sulla centuriazione e in una certa misura questi lavori antichi potreb bero servire di base ad un piano di rimessa in valore di queste regioni tornate in parte deserte. | I risultati ottenuti per la provincia d’Africa ci dovevano incitare ad estendere la no stra ricerca. L'Italia, madre dei catasti, campo di prova di tutti i metodi di divisione del suolo, doveva offrirci un grande dominio di ricerche. Noi avevamo come guida i nu merosi ed eccellenti studi dei Professori PI. Fraccaro, F. Castagnoli e S. Stucchi, per ci tare qualche nome soltanto.

E sulla decima regione dell’Italia antica e sulla Dalmazia che sono state indirizzate le nostre ricerche di cui diamo qui i primi risultati. Ciò ci da modo di portare un con tributo alla recente opera del Professore A. Degrassi sul confine Nord-Orientale dell’I- talia antica (1956).

Nel 1857 l’Archeologo triestino P. Kandler aveva ricostruito il catasto di Pola dalle carte delle quali a quel tempo poteva disporre, in base alle tracce evidenti degli antichi scomparti geometrici e dei sentieri rettilinei che li separavano.

Egli contava così un totale di 16 saltus, ogni 25 centurie e attraverso il confronto con i dati forniti da Aquileia, egli fissava il numero dei coloni a 12226 soldati, 17 centurioni e 90 cavalieri, la popolazione a 12.000 abitanti: cifre confermate dalla importanza dell’an fiteatro e del grande numero delle rovine delle fattorie, e la estensione del territorio in 77 | miglia quadrate romane, più 19 di terreno perduto.

La ricerca sulle carte resta legata alla qualità delle stesse, che è quella del rilievo to




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,pografico. La carta è un documento astratto e convenzionale perché pratico. Avviene che un sentiero, poco appariscente sul terreno, ma essenziale per ricostituire una rete scomparsa, non figuri sulla carta. Sopra tutto, la scala delle edizioni correnti non per mette di penetrare nella struttura interna delle centurie. La fotografia aerea ci fa distin guere le particolarità del terreno, i confini delle coltivazioni, che spesso sono le sole a con servare l'andamento dell’antico catasto, essendo così importanti per la comprensione di una regione, che esse sono la vita stessa del suolo.

Il materiale di cui abbiamo potuto disporre ci ha permesso di estendere considerevol mente i limiti dell’agro colonico di Pola.

A Sud del Capo Promontore soltanto la divisione del terreno è stata trascurata. Ad Est il territorio di Nesazio è compreso nel catasto che si estende fino allo sbocco della Arsa. Ma a Nord-Est non arriva al confine del territorio di Pola. In questa zona doveva no esserci popolazioni illiriche che furono incorporate ai fini della romanizzazione nell’a gro polense, quando l’Istria fu riunita all'Italia. La limitazione raggiunge Filippano, Madonna dei tre confini (toponimo rivelatore), comprende Valle d'Istria, prosegue dalle due parti la Via Flavia e finisce sul canale di Leme. Essa è ben conservata nella parte occidentale del territorio fino ‘al luogo dell’antico Vistrum, rimane poco visibile, sebbene sicura nella regione di Rusinum.

Così abbiamo trovato un totale di 750 centurie, delle quali rimandono tracce tuttora evidenti, ma si suppone che queste sono le restanti di circa un migliaio.

La colonia stessa di Pola può esser stata l'origine degli assi. Si nota l’importanza delle divisioni mediane delle centurie. Le altre suddivisioni sono meno numerose che nel resto dell’Italia. È noto infatti che l’Istria comprendeva grandi possessi imperiali.

La nostra ricerca doveva estendersi verso la colonia di Parentium (Parenzo). Ab biamo potuto rilevare un centinaio di centurie; l’orientazione è la stessa di quella del ca tasto di Pola, ciò che fa supporre che l’insieme della penisola è stata centuriata secondo il sistema romano che abbiamo studiato in Tunisia, le successive « deductiones » occupan te un quadro prestabilito. '

Molte particolarità potrebbero ancora essere precisate.

La colonia Iulia che fu dedotta a Paienzo può risalire a Tiberio o Caligola. Nello stesso modo Nesactium da cui il Professore Mirabella Roberti attribuisce la costruzio ne all’epoca dei Flavii è sviluppato nell’interno del catasto di Pola.

In più possiamo già scontare una ricostruzione abbastanza completa dell’antica rete stradale dell’Istria. Senza anticipare qui, speriamo che le ricerche effettuate ci permet teranno di scoprire i catasti del Nord della penisola e di fissare la connessione coi cata sti situati tra il Tagliamento e l’Isonzo.

Ma, la romanizzazione aveva oltrepassato molto i limiti della penisola. Fino ad oggi il sito di Salona ha sopratutto interessato gli storici dell'antichità cristiana. Non dimen tichiamo tuttavia che prima d’essere il ritiro del Diocleziano ed un casolare del cristia nismo nascente, Salona fu una colonia (Martia Iulia) d'Augusto. È normale di trovarci una centurazione che doveva far parte del grandioso piano d'organizzazione della Dal mazia. Segnalato, ma non studiato dal Professore Bradford nel 1947, il catasto, tangente al pomerium dell’urbs antiqua di Salona, si ritrova sull’altra ripa del porius Salonitanus, fino sulle prime pendici. Abbiamo computato una cifra minima di 100 centuriae, ma sen za dubbio appartengono allo stesso insieme le divisioni rilevate nei vicini di Troguir. Sap piamo che l’antico Trogurium come Epetium (Stobrec) furono fondati dalla colonia gre ca d’Issa.

Altre tracce di divisione agraria si vedono nell’isola Hvar (l'antica Pharos o Pharia), che fu una delle prime isole dell'Adriatico che subirono la dominazione di Roma, dopo la colonizzazione greca. In quanto all’isola Uljan, di fronte a Zara (Lissa contra Iader), sembra tagliata in 32 zone di circa 700 m. di larghezza. Le divisioni longitudinali sono




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poco visibili. Uljan fu certamente una dipendenza di Zara, di cui il catasto è ben cor servato. Per questa città completiamo qui il rilievo dato dal Bradford nel 1947. (1)

Sarà interessante spingere la ricerca dalle parti della Grecia e della Pannonia dov: gli agrimensori segnalano una colonizzazione sotto .il regno di Trajano.

Uno studio globale dei catasti romani non mancherà di portare una luce nuova sulla storia della colonizzazione e l'ingegneria romana e getterà le basi d’una edizione commen tata dei difficili testi dei gromatici.

Allegato L FOTOGRAFIA AEREA ED I PROBLEMI ARCHEOLOGICI DELLA SICILIA Comunicazione del Dott. D. ADAMESTEANU — Museo, Gela

Dopo quanto è stato già detto sull'importanza della fotografia aerea in altri camp, e dopo la relazione dell’Ing. Lerici e dal Prof. Chevallier potrebbe apparire quasi inutile ritornare sull'importanza di questo ottimo strumento di lavoro anche nel campo archeo logico della Sicilia. È stato infatti riconosciuto il grande aiuto che possono avere dalla fotografia aerea tutti coloro che lavorano in questo campo. Oggi, quando tutte le rivi ste, specialmente quelle a rotocalco, e tutti i giornali parlano della fotografia aerea a servizio dell’archeologia, mi pare assai difficile venire a fare una relazione su questo ar gomento. La scoperta del centro abitato di Spina, centro rintracciato per mezzo della fotografia aerea assai più tardi della scoperta della necropoli, farebbe passare dalla mente di ognuno di noi, e anche a me, l’idea di trattare questo argomento, se non fosse perché già dal 1937-1938, lì, alle foci del Danubio, mi interessai da un lato a seguire attenta mente lo sviluppo continuo di questo mezzo di ricerca e, dall’altro canto, a prendere parte attiva alla ricerca del liwes e della topografia della Scizia Minore, oggi Dobrugia. Dell’ottimo risultato ottenuto attraverso questo moderno mezzo di ricerca, specialmente topografica, per la città di Histria e del suo territorio, posto tra l’antica Tomi, oggi Costanza, e le foci del Danubio, sono testimoni preziosi il volume di Marcelle Lambri no, Les vases archaiques d’ Histria (Bucarest 1938) e l’altro, non meno interessante, di Radu Vulpe, l’Histowwe ancienne de la Dobroudja (Bucarest 1940). Se dal primo tentativo fatto in Romania avevamo ottenuto utili insegnamenti per la ricerca topografica delle fasi di sviluppo della colonia milesia di Histria, fasi meglio documentate dai miei vecchi maestri e colleghi romeni, dal secondo studio, quello di Radu Vulpe, avevamo già intra visto quali potessero essere i risultati se si fosse continuato sulla stessa strada di ricerca. Dalla carta redatta da Radu Vulpe risulta chiaramente la rete stradale di età romana della Scizia Minore e, specialmente, l’alta strategia con cui continuamente si è tentato di chiudere quella Via gentium che è stata e sempre sarà l’ansa dei Carpazi e del Basso Danubio. I bdurgiî, castra et castella del limes Scythicus, con la loro disposizione lungo e (1) In una conferenza tenuta a Roma nella Facoltà di lettere l’i1 aprile 1957 sul l'argomento: Ricerche archeologiche aeree nelle regioni mediterranee negli anni 1943- 1957, il Professore Bradford, che dopo l’ultima guerra mondiale aveva a disposizione tutte le fotografie alleate del Mare Mediterraneo, ha segnalato che anche lui aveva già studiato, sebbene non pubblicato, i catasti romani dell’Istria e delle isole dell’ Adriatico. | Mi compiaccio di farlo presente in questa sede. Si vede infatti quale interesse nuovo le fotografie aeree danno ad una questione trascurata per questa regione da quasi un se colo. Ne darò altrove uno studio più accurato.




alle spalle del limes Danubianus, ci dimostravano la continuacura che l'Impero romano, da Domiziano e fino a Giustiniano, aveva dedicato alla chiusura di questa via gentium. [1].

Se tante volte, com'è, per esempio, il caso della scoperta della grande villa sotto e accanto le piste di volo dell’aeroporto di Centocelle, si è arrivati a grandi scoperte soltan to incidentalmente, spesse volte invece i nostri predecessori e colleghi, come Alfieri, col leghi che lavorano ovunque nel vasto campo archeologico, hanno dovuto deliberatamen te ricorrere alla fotografia aerea per facilitare la ricerca e lo scavo. Non avrei da citare che qualche esempio oramai ben conosciuto come l'immenso lavoro di Père Poidebard nel deserto della Siria per rintracciare il /#wes, oppure quell'altro, del Col. Baradez, dedi cato alla ricerca e alla felice scoperta del Fossatum Africae. È sicuro che nessun archeo logo topografo avrebbe osato, prima del 1949, mettere in dubbio la ricostruzione des con fins du désert, così com’essa era uscita dalla instancabile opera di uomini come Gsell, Grenier e Guey. Il rilevamento invece del terreno per mezzo della fotografia aerea, i sag gi di scavo, il ritorno alla ripresa fotografica ad alta quota della parti ancora dubbie han no permesso a Baradez di darci quel vivo quadro della romanità del Fossatum Africae e a Salama di redigerè quella meravigliosa Carte routière de l’Afrique romaine in cui, come anche nel lavoro di Baradez, ogni particolare è stato segnato soltanto dopo aver chiarito tutto anche con saggi di scavo regolare. Che cosa è rimasto dalla ricostruzione dell’Africa romana fatta dallo Gsell, da Grenier e da Guey ? Le arcate di un ponte i cui pilastri sono stati sostituiti da altri nuovi, capaci di reggere d'ora in poi qualsiasi rico struzione di una grande parte dell’Impero romano, qual’è stata l’Africa.

Chi ha dovuto ricercare per sei anni i centri abitati della Sicilia centro-meridionale, centri abitati che dovevano trovarsi, secondo la felice espressione di Diodoro Siculo (V, 6), sugli acrocori, per il timore delle incursioni, spesse volte, ha rimpianto le nitide fotografie aeree, delle strade, dei fraetoria, dei burgi et castella che si vedono nel lavoro di Baradez. Chi ha dedicato sei anni alla ricerca di fortificazioni come quella di Gela, di M. Bubbonia o M. Desusino, per citare solo qualcuna tra le tante che si trovano tra, le spiagge di Gela e il Passo del Recattivo, in mezzo alla Sicilia [2], ha rimpianto sincera mente le magnifiche riprese aeree anche dei più piccoli centri preistorici che si possono « leggere » nelle splendide pagine illustrate del volumetto che lo Harden ha dedicato alla opera del Magg. Allen,

Se pensiamo infine alla facilità con cui Bradford è riuscito ad identificare le stazioni preistoriche della Puglia o le necropoli di Cerveteri e se ci riferiamo alla identificazione, tomba per tomba, della necropoli di Tarquinia, possiamo, alla fine domandarci, -- e ci vuole un po’ di coraggio per farlo — : «che cosa abbiamo fatto, noi archeologi che lavo riamo in Sicilia ? Che profitto abbiamo avuto noi da questo mirabile strumento datoci dalla fotografia aerea ? »

Per quanto mi costa, con una sola eccezione di cui parlerò subito, possiamo dire: «non abbiamo fatto nulla, e nessun vantaggio abbiamo tratto da questo moderno sistema di lavoro ». Dico: «non abbiamo tratto alcun vantaggio noi, che lavoriamo in Sicilia». Chi è riuscito a trarre un vantaggio è stato il Prof. F. Castagnoli che non ha visto Agrigento, non ha mai lavorato in Sicilia e non ha mai avuto fotografie dell’ERAS; egli ha avuto le fotografie dell’Istituto Geografico Militare e ha lavorato a Roma. Il risultato del suo studio su Ippodamo e l’urbanistica antica ? Ottimo sotto tutti i punti di vista, e quanto ad Agrigento e alla sua antica urbanistica, questa, contrariamente a quanto venne so stenuto dal Marconi e dal Pace, esisteva; l'urbanistica antica di Agrigento venne studia ta da Castagnoli nelle sue diverse fasi, dall’età romana fino alla prima metà del v secolo a.C., e tutto questo per mezzo della fotografia aerea. Si potrebbe dire che tutto lo scavo della zona di S. Nicola di Agrigento non sia altro che una lampante conferma di ciò che un nostro fortunato collega, lontano dalla Sicilia, ha affermato con la scorta di due o tre fotografie aeree. [3].






Alla fine di questa breve rassegna si potrebbe dire che qui in Sicilia, privi della fo tografia aerea, non abbiamo realizzato niente di buono. Eppure, grazie agli aiuti finan ziari offerti dalla Regione Siciliana attraverso isuoi Assessorati: della Pubblica Istruzione, del Turismo e del Lavoro e specialmente grazie ai fondi venuti dalla Cassa per il Mezzo giorno non possiamo lamentarci della mancanza di mezzi; questi aiuti ci hanno permesso di realizzare un lavoro immenso. Non credo che si sarebbe arrivati a scoperte così impor tanti come quelle delle Isole Eolie, di Leontini, di Gela, di Agrigento e di Eraclea Minoa senza questi forti contributi. E ho citato soltanto qualche centro della costa, lasciando da parte le altre scoperte, per nulla inferiori, che hanno condotto alla messa in luce, per citare un esempio meglio conosciuto, del complesso dei mosaici di Piazza Armerina, op pure hanno permesso la ricerca metodica fatta nel retroterra delle colonie greche e della costa. Abbiamo lavorato con somme che nessun archeologo ha mai pensato di avere a sua disposizione, in condizioni normali, per la realizzazione dei suoi piani. Il risultato di questo lavoro, meglio di quanto io non potrei farlo, è stato sintetizzato recentemente da J. Bérard nella II edizione del suo volume dedicato alla Colonisation grecque de l’Italie méridionale et de la Sicile dans l’antiquité (Paris 1947): « Mais telle est l’importance des fouilles exécutées depuis 1940 (data della prima edizione) et surtout depuis 1950, que le problème (de la colonisation et de la topographie) se trouve entièrement renouvelé, nos connaissances étant aujourd’hui considérablement plus étendues et plus sùires » (p. 280).

Non è di questa sede né spetta a me insistere sull'importanza di ogni scavo archeo logico eseguito di recente in Sicilia; posso soltanto dire che dalle Isole Eolie fino alle sco-. perte fatte a Segesta abbiamo potuto raccogliere quei dati necessari ad una revisione di molti dei punti che si consideravano acquisiti per sempre nella vita della Sicilia antica; quasi una revisione totale non solo cronologica, nel senso voluto da Bérard, ma anche — e principalmente — topografica, come infatti dimostrano i primi elementi topografici sicuri ottenuti con la scoperta delle fortificazioni di Leontini, con quelle di Gela, di Agrigento e E1aclea Minoa. Chi potrebbe poi negare che nell’immenso vuoto che si inseriva alle spalle di Gela, oggi possiamo fissare definitivamente i centri abitati e fortificati di M. Desusino e di Butera, di M. Bubbonia e di Sabbuccina, per citare soltanto qualcuno tra le diecine di altri nomi? Una innumerevole serie di centri pre o protostorici che entrano a far parte della grecità della costa già durante il vi sec. a. C. E chi potrebbe negare l’importanza che assume la scoperta di tanti agglomeramenti di età romana in una ricostruzione della Sicilia imperiale e paleocristiana ? [4] Da queste ricerche fondamentali nel programma di ogni Soprintendenza alle Antichità, è nata anche quella fitta carta preistorica della Sici lia dall’età della pietra all’età del ferro. Per la distribuzione delle stazioni preistoriche della Sicilia, sia il volume della Bovio-Marconi [5] apparso durante la guerra e dedicato soltanto alla Conca d’Oro, sia quello recentissimo di Bernabò-Brea [6] dedicato al proble ma preistorico della Sicilia, hanno bisogno di un aggiornamento. Soltanto tra l’antico Achates (l’odierno Dirillo) e l’antico Himera (l'odierno Salso inferiore), al posto dei due o tre centri conosciuti, si possono contare altre diecine di stazioni preistoriche che van no dalla costa fino al Passo di Landro, nel cuore della Sicilia. Sono tutte stazioni dense di vita testimonianti una continua fluttuazione di popoli tra le ricche vallate e gli acrocori di cui la Sicilia abbonda, che ci mostra un’Isola che ci sorprende con le sue cittadelle al momento dell’incontro tra greci e siculi.

In conclusione, la Sicilia antica, in seguito a queste nuove scoperte, oltre che ad in dicarci con più precisione la successione cronologica delle svariate fasi culturali con cui si è creata la sua storia, ci appare meglio articolata nella distribuzione dei suoi centri abi tati, dalla preistoria fino alla vigilia delle grandi trasformazioni feudali; ci appare meglio definita anche nelle sue vie di comunicazione interna, nelle vie di accesso per i suoi di struttori e nelle vie di comunicazione delle sue grandi fasi culturali.

Arrivato a questo punto direi quasi che di fronte a noi si profila una nuova storia




della Sicilia il cui quadro, giudicato da uno che opera più sul terreno che a tavolino, co mincia ad apparire assai più vicino alla realtà storica anche in queste ultime pagine che 11 Berard ha aggiunto alla sua seconda edizione. E se oggi fossero tra noi lo spirito analiti co di Dunbabin [7] o quello sintetico di Biagio Pace [8], sono sicuro che più degli altri, essi potrebbero riprendere le pagine delle loro ricostruzioni della vita della Sicilia anti ca: avrebbero a disposizioni tali e tanti altri documenti da fissare altri nuovi capitoli, completamente sconosciuti finora.

Abbiamo, dunque, lavorato, e credo, tutti senza risparmiarci alcun fastidio, al mas simo delle nostre forze. Ma il nostro lavoro, specialmente quello dedicato alla ricerca to pografica, con tutta franchezza, doveva essere impostato soltanto sul nostro intuito e sulle nostra forze fisiche ? Quante di queste grandi e piccole scoperte che formano la nuo va tessitura della vita della Sicilia antica sono state realizzate con l’aiuto della fotografie aerea ? Come ho già detto, nessuna. Fino a giorni fa non ho mai avuto la fortuna di sfrut tare una sola fotografia aerea per le ricerche topografiche che, nel programma della So printendenza alle Antichità di Agrigento e Caltanissetta, ho condotto dalla spiaggia di Gela fino alla zona a Nord di Santa Caterina Villarmosa: tutto è stato affidato a quelle bricciole della letteratura antica che si sono salvate dal naufragio del tempo e special mente alle interminabili camminate in lungo e largo della provincia di Caltanissetta. Chi sente delle scoperte dell’Abbattone dell'Ing. Lerici e legge le pagine di Bernabò-Brea dedicate alla scoperta della città di Longane [9] e venisse a domandare all’amico Rizza e a me le spese fatte per rintracciare il prolungamento orientale della fortificazione di Leontini su Metapiccola, potrebbe anche non credere, né alle spese fatte né al logorio delle . nostre forze fisiche [10].

Ma la verità può essere anche più amara e, dato che mi trovo a parlare in mezzo a tecnici e a colleghi mi permetterò di accennare ad una sola verità.

Durante il mese di agosto del 1954, due-tre mesi prima che l’ERAS, facesse le sue riprese fotografiche della zona di Mazzarino, mi trovavo allo scavo dell’antica sfafto di Philosophiana [11]. Durante l’ultima quindicina del mese di agosto 1954 mi decisi di se guire la strada romana che da Philosophiana doveva raggiungere l’altra statio, quella di Petilrana. Da Philosophiana fino all'incrocio di questa strada romana con il tracciato della strada provinciale Gela-Caltanissetta, tutto andò bene; da questo incrocio e fino al Salso le mie dieci giornate di cammino nel mese di agosto portarono alla scoperta di tanti altri centri di importanza archeologica ma non alcun indizio di strada romana. Fino a pochi giorni addietro avrei potuto credere che di questo tracciato occidentale della strada ro mana non ci fosse rimasta alcuna traccia, ma uno sguardo libero sulle fotografie aeree della zona mi ha permesso di seguire la strada che cercavo nella vallata tra Mazzarino e Barrafranca, spostata leggermente più a Sud, dirigentesi chiaramente verso la contrada Perni, vicino a Riesi, centrò, questo, ben conosciuto a noi per la sua abbondante testi monianza di vita in età tardo-romana.

To credo che ognuno dei miei colleghi si sarà sentito amaramente deluso quando si sarà trovato obbligato ad affrontare un problema topografico, piccolo, o peggio ancora, di grande raggio, senza alcun aiuto della fotografia aerea. M’immagino il tormento del col lega Tusa durante lo scavo del santuario arcaico di Segesta; avrà desiderato sapere, come era naturale, se fosse o meno entro le mura arcaiche della città. Lo stesso credo anche del collega Gentili che avrà voluto sapere i rapporti che potevano stabilirsi tra la villa del Casale e la statto Philosophiana. Tanti problemi affrontati soltanto con la conoscenza del terreno, resa possibile dopo settimane di cammino e in seguito a quel fiuto che ognuno di noi può avere più o meno sviluppato: perché parlare di leggi stabili nella topografia anti ca della Sicilia non mi ‘pare il caso di sconfessare.

Per esemplificare meglio il contributo che potevamo o potremo avere d’ora in poi da questo strumento ideale di lavoro, ho scelto una serie di centri in cui, al momento de




rilevamento aereo fotogrammetrico, non avevamo eseguito alcun saggio. I nostri scavi a Gela, M. Raffe e M. Bubbonia, sono stati effettuati in un secondo tempo e in questa maniera potremo vedere quanto abbiamo perso nella ricerca delle fortificazio ni, delle porte e delle torrette, mentre tutto era già evidente nella fotografia aerea. Se molte sono state le scoperte fatte in questi due tre giorni in cui ho avuto la possibilità di avere tra le mani le fotografie aeree, soltanto qualche esempio potrò citare qui e da questi si avrà la sensazione che d’ora in poi non potremo privarci dell’aiuto di questo stru mento di lavoro.

La fig. 1 rappresenta la fotografia aerea presa il giorno Io settembre 1954 sulla zona di Capo Soprano e Piano Notaro, vale a dire sulla estremità occidentale della colli na di Gela. La quota di volo è stata a m. 1.200. Dalla fotografia risulta chiaramente l’an damento della fortificazione (fig. 3) sulla punta di Capo Soprano [12], il suo prolunga mento tra questa collina e quella di Piano Notaro e, specialmente, l’antica strada greca e romana, (fig. 2) che, dalla punta di Piano Notaro, si dirigeva in direzione Ovest, per raggiungere l'antica città di Phintias, l’attuale Licata. È certo che la via che arrivava alla punta di Piano Notaro doveva spingersi con un braccio, di cui si osserva un piccolo tratto, anche per la gola formata dalle due colline: Piano Notaro stesso e Capo Soprano. In tal maniera, sulla linea fortificata, tra lesdue colline, si deve postulare una porta. ‘La fig. 4 abbraccia tutta la piattaforma di M. Bubbonia, montagna saggiata dall’Orsi intorno al 1900, e da noi, durante l’estate 1955 [13]. Mentre in seguito agli scavi dell’Orsi risultava che sulla montagna non v'era altra fortificazione che quella piccola, destinata a proteggere la vetta su cui sorgeva l’abitazione del principe indigeno (anaktoron), dai nostri saggi venne messa in luce una grande linea fortificata. di oltre km. 5 che racchiu deva l’intera piattaforma della montagna (fig. 6). Sempre in seguito ai nostri saggi venne chiarito anche il problema dell’anaktoron che è risultato essere un sacello arcaico deco rato con antefisse gorgoniche. Dalla fotografia aerea, presa il giorno 9 agosto 1954, risul ta inoltre che dalla parte settentrionale della pianura che si estende ai piedi della mon tagna e dalle sorgenti si apriva una strada che penetra nella città e dopo aver raggiunto la piattaforma, con un andamento E-0, si dirige, attraverso una serie di cardines, verso la piccola porta da noi identificata nella piccola fortificazione (fig. 5). Sempre dalla foto grafia aerea risulta che sulla parte NE della collina, a ridosso della fortificazione, si trova un grande edificio con orientamento E-O, assai probabilmente un tempio della città arcaica. A questo tempio, con molta probabilità, possono essere collegate le statuette che vennero da noi trovate ai piedi di questa collina. Un po’ più ad occidente del tempio (?) si può notare un’altra costruzione che venne rintracciata e scavata durante i lavori di scavo del 1955.

La fig. 7 rappresenta una fotografia aerea presa su M. Raffe [14]. Durante gli scavi condotti nell’estate del 1956 sulla montagna vennero rintracciate almeno due linee di fortificazione e una necropoli che si trova sul lato meridionale della mentagna. Dalla fo tografia aerea risulta invece che, quasi di rimpetto a questa necropoli meridionale, sul lato settentrionale della stessa montagna, si trova un’altra necropoli, se non più estesa di quella meridionale, assai più densa di quest’ultima (fig. 8). I futuri scavi potranno con- i fermare questa documentazione così chiara della fotografia aerea. È ben poco quello che ho potuto mostrare di tutto ciò che sono riuscito a constatare questi giorni con le fotografie dell’ERAS. Il rilevamento dell’ERAS non è stato fatto a scopo archeologico: esso venne effettuato per servire ad altri fini, lontani dai nostri. Men tre i nostri fini vanno piuttosto alla ricerca del lontano passato, l’ERAS cerca, attraverso i suoi molteplici organi, l'avvenire, il perfezionamento della vita nel futuro. Ma l’aiuto che possiamo trarre anche noi da questo strumento di lavoro dell’ERAS è immenso e potrebbe risparmiarci non dico le nostre forze fisiche ma in primo luogo molte spese. Se d'altra parte si guarda bene all’attività dell’ERAS e a quella delle Soprintendenze alle




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: È i Da 7 È p. Mi È 2 . IG. 4. — Fotografia aerea comprendente la montagna di Bubbonia e parte della pianura settentrionale.






Antichità, si osserverà che tutti lavoriamo in seno alla stessa grande famiglia che è la Re gione Siciliana. Edio penso che la forza di una famiglia stia principalmente nella sua unio ne, pur lavorando ogni entità della famiglia, in un altro campo. Ma è proprio da questa diversità di espletamento di attività che una famiglia trae la sua robustezza. Tutti infatti lavoriamo in campi diversi ma per lo stesso scopo: i tecnici degli apparecchi sono il fu turo di questa famiglia, la quale però, com'è naturale, deve trarre la sua linfa dal suo pas sato. E noi archeologi lavoriamo proprio per la conoscenza di questo passato. Noi stiamo cercando altri nuovi documenti del passato della Sicilia antica, d’un passato che difficil mente potrebbe trovare un altro da portare a confronto: quotidianamente lo splendore della Sicilia antica ci appare sempre più profondo di significati spirituali. Alla ricerca di queste perle della lunga collana della storia siciliana noi archeologi vogliamo avere tutti i necropoli fortificazione i è edificio necropoli . I / Fic. 7. - M. RAFFE - Ricostruzione abitato e fortificazione (Saverio Tufano). i mezzi moderni che non mancano e che possono metterci in grado di ascrivere alla storia della stessa famiglia altre nuove splendide pagine. |

Per un coordinamento del nostro lavoro storico ed archeologico in Sicilia è nato an che il « Centro siciliano di Studi storici ed archeologici Biagio Pace » [15] e uno tra i prin cipali punti del nostro programma è quello della stesura di una Carta archeologica della Sicilia antica, lavoro da fare anche per mezzo del rilevamento aerofotogrammetrico. A tale scopo già sono stati stabiliti rapporti tra il Centro e l’ERAS e da questa presa di con tatto e dalla collaborazione stretta tra ingegneri e studiosi del passato della Isola, sono si curo, nascerà la prima realizzazione fondamentale per la conoscenza della Sicilia antica: la Carta archeologica.

BIBLIOGRAFIA [x] Su questo problema, come esso si presentava nel 1950, cfr. D. ADAMESTEANU, «Limitanea », Archeologia Classica, II, 1950, pp. 73-8I. [2] Una presentazione sommaria di questo lavoro eseguito nella Prov, Caltanissetta» tra il 1951 e 1956, si veda in D. ADAMESTEANU, « Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale », Rendiconti dei Lincei, XI, 1956, pp. 1-15. Cfr. anche Idem, « M. Sa raceno ed il problema della penetrazione dei Rodio-Cretese nella Sicilia meridionale », Archeologia Classica, VIII, 1957, pp. 121-146. [3] Il lavoro di CastAGNOLI (/fpodamo di Mileto e Urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956), pur toccando di sfuggita il problema di Agrigento, trattando l’insieme del




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problema, aveva già dato il via a questa ricerca. Un anno dopo, E. DE MIRO, in uno studio dedicato ai risultati generali dello scavo eseguito dalla Soprintendenza alle An tichità di Agrigento e Caltanissetta nella località denominata S. Nicola (« Il Quartiere el lenistico-romano di Agrigento », Rendiconti dei Lincei, XII, 1957, pp. 135-140), portava nuovi elementi per la cronologia dell'impianto ortogonale di questa zona. Grazie all’in stancabile lavoro del Ten. Col. G. Schmidt, è risultato che tale pianta ortogonale non era circoscritta soltanto alla zona di S. Nicola: questo impianto è oramai accertato per l’intera zona abitata, anticamente, di Agrigento. Di questa pianta si potranno vedere prossimamente le riproduzioni nella ./ostra della Fotografia aerea a Milano e, fra non molto, lo studio a cui lavorano il Soprintendente Dr. P. Griffo ed il Ten. Col. G. Schmidt.

Dagli ultimi studi fatti sulla fotografia aerea e sul terreno è risultato che lo stesso impianto ortogonale si trovava anche nella zona occidentale di Gela, a ridosso delle fortificazioni greche di Capo Soprano e di Piano Notaro. In altra sede mi occuperò di questo impianto geloo; per ora invio al mio studio: « Nouvelles fouilles et recherches à Géla et dans l’arrière-pays », Revue Archéologique, 1957, pp. 21-42. Cfr. anche P. OR- LANDINI, « Tipologia e cronologia del materiale archeologico di Gela dalla nuova fonda zione di Timoleonte all’età di Ierone II », Archeologia Classica, IX. (in corso di stampa). [4] Il problema venne affrontato ultimamente da B. PacE, Arte e civiltà della Sicilia antica, I, 1935, pp. 271-326; pp. 419-450. Cfr. anche il IV volume della stessa opera (1949), dedicato allo stesso problema. Per le ultime ricerche fatte nella Prov. Caltani setta riguardanti il periodo romano, cfr. D. ADAMESTEANU, «Due problemi topogra fici del retroterra gelese: Phalarion, Stazioni Itinerarie e Bolli laterizi », Rendiconti dei Lincei, X, 1955, pp. 199-210; Idem, « I primi documenti epigrafici paleocristiani nel re troterra di Gela », Rendiconti der Lincei, X, 1955, Pp. 562-571. [5] « La cultura tipo Conca d’Oro nella Sicilia nord-occidentale», MAL, XL, 1944. [6] « La Sicilia prehistorica y sus relaciones con Oriente v con la Peninsnla Ibérica », Ampurias, XV-XVI, 1954, pp. 137-213. [7] The Western Greeks, Oxford 1948. [8] Vedi nota n. 3. [ol in Archivio Storico Siciliano, Ser. IV, III, 1950, p. I segg. [ro] Sul problema della fortificazione cfr. G. Rizza, NSc, IX, 1955, pp. 347-372. [11] Su questo scavo cfr. qualche informazione preliminare in D. ADAMESTEANU, Dite problemi topografici, pp. 209-210; Idem « Vaso figurato paleocristiano dal retroterra di Gela », Boll. Arte, 1956, II, pp. 158-161. [12] Per la fortificazione di Capo Soprano di Gela, cfr. P. GrIFFO, Atti dell’Accade mia di Scienze Lettere ed Arti di Agrigento, 1953-1954, p. 18 segg. Cfr. anche D. ADA- MESTEANU, Nouvelles familles ; Idem, « Osservazioni sulla battaglia di Gela del 405 a.C. », in Kokalos, II (in corso di stampa). [13] P. OrsI, N$Sc, 1905, pp. 447-449; Idem, N Sc, 1907, p. 497. Cfr. nanche D. ADA- MESTEANU, « Anaktopa o sacelli ? », Archeologia Classica, VII, 1956, pp. 179-183; Idem Le fortificazioni ad aggere, pp. 1-6. [14] I primi accenni sul centro abitato di M. Rarre, cfr. in P. GRIFFO, Aspetti ar cheologici della Provincia di Caltanissetta, Agrigento, 1955, p. 27. Durante l’estate del 1956 il Dr. Griffo vi condusse una campagna di scavo mirante ad individuare l’estensione del l'abitato e delle necropoli. Vennero rinvenute più linee fortificate, saggiati alcuni ambienti e delimitata, e in parte scavata, la necropoli meridionale. ° [15] Il Centro venne istituito il giorno 1 aprile 1937.