BREVE CHIARIMENTO SUL CANNOCCHIALE A LUNGHEZZA COSTANTE ProFr. TOMMASO BERLESE



Le delucidazioni che mi sono state più volte richieste sul funzionamento: del cannocchiale detto «a lunghezza costante », per distinguerlo dal vecchio «cannocchiale astronomico » del quale ha quasi totalmente preso il posto ne gli istrumenti topografici moderni, mi danno lo spunto per esporre qui un breve cenno di chiarimento.

Mi vennero giustificate le suddette richieste asserendo che l’argomento non risulta molto chiaro nella trattazione che se ne fa nei testi di topografia. Ciò non è vero che in parte.

Può darsi che in qualche caso esso non sia sviluppato nella maniera con vincente che qualcuno forse desidererebbe, ma questo può essere dovuto al fatto che l’autore abbia ritenuto (e direi non a torto) chiaramente noti nel lettore tutti 1 concetti di ottica che riguardano l'argomento.

Tuttavia si può ammettere che possa sfuggire il nesso più o meno semplice che lega i concetti teorici alla loro applicazione pratica ed è appunto su ciò che intendo qui di intrattenermi.

Il cannocchiale detto a lunghezza costante, come quasi tutte le cose ge niali nel campo della topografia, è stato inventato dal Porro. Egli intendeva di eliminare con un nuovo sistema le deviazioni che facilmente subisce l’asse di collimazione del cannocchiale astronomico nella messa a fuoco delle immagini di oggetti posti a distanze diverse, deviazioni prodotte dallo scorrimento non perfettamente assiale del tubo oculare o del tubo portante l’obbiettivo.

Egli ottenne ciò, come è noto, mediante l’interposizione di una lente convergente mobile tra l’obiettivo e il reticolo, lo spostamento della quale . faceva variare il piano sul quale si formava l’immagine reale dell’oggetto osservato sino a farlo coincidere con quello del reticolo che rimaneva in posi zione fissa. Da ciò il nome di cannocchiale a lunghezza costante.

Questo però non va confuso col cannocchiale distanziometrico ad anal latismo centrale creato dallo stesso Porro con l'aggiunta della lente anallatica che, facendo sistema con quella obbiettiva, portava il vertice dell'angolo dia stimometrico a coincidere col centro dello strumento. Il concetto della lente anallatica portava con sé la inamovibilità della lente stessa a meno di un pic colo adattamento per la correzione della costante anallatica, regolato con una vite di rettifica.






Il cannocchiale aveva sempre una regolazione per la messa a fuoco con ! spostamento del tubo oculare o dell’obbiettivo.

La variazione della distanza tra lente obbiettiva e lente anallatica, modi ficando molto sensibilmente la distanza focale del sistema da esse formato portava ad una variazione altrettanto sensibile nel rapporto d’ingrandiment. quindi nel coefficiente diastimometrico e di conseguenza nella cifra che avrebbe dovuto rappresentare la distanza effettiva tra stadia e strumento, dedotta dalle letture alla stadia.

Ma il Porro cercò di approfittare anche di questa variazione, combinan dola meccanicamente con la inclinazione del cannocchiale, creando così que. « Cannocchiale stenallatico » che fu il primo tentativo per giungere agli auto riduttori. e

Il cannocchiale stenallatico non ebbe successo presso i costruttori e fu presto abbandonato, ma il principio rimase.

In un tempo relativamente recente, la necessità di ritornare al concett: della lunghezza costante nei cannocchiali portò alla sostituzione della lente interna convergente del Porro con una lente divergente, di lunghezza focal piuttosto grande, lente che fu posta ad una distanza dalle lente obbiettiva ta le che il sistema da esse formato di lunghezza focale: re Î 1 + | 7 Î 2 | CÀ risultasse positivo e quindi costituisse sempre un sistema convergente.

Come si vede nello schema ottico della fig. a, la lente divergente LL, pro duce un allontanamento della immagine reale A’ B’ formata dall’obbiettivo col vantaggio di un ingrandimento della immagine stessa portandola in 4° B". , id |R —____D_ UL B 8 B | 0 ev A" Fig. a.

Se dunque esiste un reticolo R, variando convenientemente la distanza A fra le due lenti, si potrà sempre ottenere che l’immagine A” B” cada sul piano del reticolo stesso, qualunque sia la distanza D.






Ora veniamo al nocciolo della questione e cioè al funzionamento del can nocchiale come distanziometro ed alla posizione del vertice dell’angolo dia stimometrico,

Consideriamo il cammino inverso dei raggi luminosi. Partiamo cioè dai fili del reticolo a e d (fig. 5) la cui distanza tra loro sia A. ° L L B 1 2 \| TR . os | bu SL | 2 TT Ir —Auynnt b A | Î pi Fig. db.

Questi raggi, provenendo paralleli, attraversano la lente divergente L, quindi deviano secondo la direzione del fuoco F7 della lente stessa, giungendo alla lente obbiettiva non più paralleli come nel caso del distanziometro co mune, ma facenti l'angolo «. La lente obbiettiva li convergerà verso un punto V, che non sarà più il fuoco anteriore F), ma il punto coniugato di F} e con questa direzione giungeranno alla stadia S.

Lo spostamento della lente interna produce di conseguenza una variazione dell'angolo stesso.

Con ciò si ba una differenza anche nelle letture ai fili del reticolo proiet tati sulla immagine della stadia, il coefficiente X varierà quindi a seconda della posizione della lente stessa ed infine si avrà una variazione anche nella costante addittiva K, che esprime la distanza tra il vertice V ed il centro dello strumento.

Ora tutto questo come potremo esprimerlo in una formola ? È evidente che le conseguenze a catena delle variazioni nella posizione del vertice V, nel valore dell’angolo diastimometrico, della costante K e della co stante addittiva K, che la messa a fuoco per le distanze diverse produce, ben ché a rigor di termini sieno calcolabili, non risultano tanto semplici da poterne dedurre qualcosa di praticamente sfruttabile a meno che non ci si accontenti di raccogliere le variazioni in un coefficiente unico, ponendo:

F K=-— 4 X h da cui xek-- PT h






Se noi vogliamo che il coefficiente K sia in ogni caso uguale a Iocc. non potendo considerare un % variabile, dovremo porre necessariamente A funzione di F, che rimane la sola quantità variabile con muoversi della lente interna.

D'altra parte, la formola della distanza

D= KH- K, ci fa ricadere nel distanziometro normale e non anallatico, mentre il cannoc chiale a lunghezza costante lo usiamo come se lo fosse. Ed abbiamo che anch. K, è variabile. Quale sarà allora la soluzione del problema ?

Torniamo quindi a parlare di applicazione pratica. È ben noto che il cannocchiale è paragonabile ad una macchina fote grafica ove, al posto del reticolo si pone la superficie sensibile che fissa l’imma gine dell'oggetto messa a fuoco. L'obbiettivo porta una graduazione per le varie distanze che comunemente va da I a 20 metri; poi troviamo il segno ac. Ciò vuol dire che da 20 metri in poi l’immagine risulterà sempre a fuoco e nor. saranno necessari ulteriori spostamenti dell’obbettivo.

La soluzione alla quale tendiamo è dunque ridotta alla ricerca della posizio ne della lente interna e del valore di tutti i nostri elementi per una distanza su periore ai metri 20 e questi li riterremo buoni per tutte le distanze da metri 20 in poi perché, anche se volessimo realizzare una messa a punto più perfetta. la differenza di posizione della lente divergente interna sarebbe così piccola che non modificherebbe in modo sensibile gli elementi che a tale spostamenti: sono legati. -

Ed allora concludiamo.

Il problema viene risolto dal costruttore in maniera molto semplice. Egli traccia 1 fili del reticolo ad un intervallo tale che, posta una stadia ad una di stanza, poniamo, di 50 metri esatti dal centro dello strumento, il tratto H di stadia che tra essi viene compreso, corrisponda giusto a m. 0,50.

Con ciò viene ad essere compresa nel conto anche la quantità rappresen tata dalla costante addittiva XK, e tutto funziona come se il distanziometro fosse centralmente anallatico.

Qualcuno un po’ ingenuo potrà chiedere: E per le distanze inferiori ai 20 metri cosa succede ?

Voglio sperare che di ingenui ce ne siano pochi; tuttavia una risposta ci vuole.

AI di sotto di questa distanza gli errori dovuti allo spostamento della lente per la messa a fuoco sono progressivamente più sensibili, e le misure di conseguenza verrebbero errate oltre il limite della tolleranza, ma è anche vero che al di sotto del 20 metri nessuno (almeno così suppongo) si penserebbe di usare stadie e cannocchiali in luogo di una comunissima e comoda cordella metrica.






Infine, se riteniamo ammissibile la formola che esprime il valore dell’er- . rore medio nella misura di una distanza col distanziometro, tenendo valida l’acutezza media di vista uguale a 60° e cioè:

E po 0 D n a K D = ———Trueceor 0° # 0,0005604 —-— 7 x = o' In IX n con K = 100, ingrandimento I = 20, numero dei fili n» = 2, otteniamo per una distanza D = m. 100: E = + 0,22 che corrisponde ai valori stabiliti anche dallo Jordan e dal Boaga.

Tale errore medio ci mette in pace la coscienza perché gli eventuali er rori sulla determinazione delle distanze, prodotti dalle semplificazioni che ab biamo ammesse per rendere meno complicata la risoluzione del problema del cannocchiale a lunghezza costante, risultano in ogni caso di molto inferiori al i valore, come esprime la formola sopracitata, del limite delle nostre possibilità VISIVE.

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