P. BENCINI
La principale difficoltà della Geodesia operativa era costituita, nel pas sato, dalla misura delle distanze. Il procedimento della triangolazione fu in fatti ideato dallo Snellius per ridurre al minimo le misure di lunghezza, sfruttando in loro vece le misure angolari, di effettuazione molto pi facile, per le quali erano anche stati realizzati strumenti di misura dotati di preci sione sorprendente per l’epoca in cui essi erano costruiti. Una necessità con nessa al procedimento di triangolazione, inoltre, fu quella di scindere il rilievo in due parti nettamente distinte, planimetria e altimetria, che con dusse alla considerazione di due distinte superfici di riferimento: l’ellissoide ed il geoide. Dal secolo XIX, durante il quale gli studi geodetici assunsero lo sviluppo e l’importanza che loro compete, ad oggi, il progresso tecnico è stato continuo, anche se non con il ritmo vertiginoso che si è verificato in altri campi. Quando poi sembrava che stesse per essere raggiunto un limite di precisione non superabile, e che la Geodesia fosse una scienza ormai senza possibilità di ulteriore sviluppo, nuovi orizzonti sono stati schiusi all’inda gine scientifica ed alle applicazioni pratiche.
Nel campo degli strumenti per le misure angolari, dagli strumenti di dimensioni e peso quasi proibitivi per un proficuo impiego e che richiede vano un tempo lunghissimo per le operazioni di misura, si è giunti ai mo derni teodoliti muniti di micrometro ottico e di cannocchiale a lunghezza costante, di peso e dimensioni molto ridotti, di agevole impiego e di preci sione tale che difficilmente potrà essere aumentata.
Nel campo degli strumenti per le misure di lunghezza, il progresso è stato molto più sensibile.
Dagli apparati a spranghe per la misura delle basi, si era arrivati agli apparati a fili di invar, coi quali la misura di una base geodetica diveniva un'operazione molto più spedita ed economica: tuttavia, anche per la scar sità di zone abbastanza estese per la misura e per realizzare una ben confer mata rete di sviluppo, la lunghezza delle basi geodetiche doveva necessaria mente essere limitata ad una diecina di chilometri.
Con l’apparato di Vaisala fu abbandonato il concetto classico della mi sura, consistente nel riportare successivamente sul terreno un mezzo me trico, e fu invece utilizzata la luce come mezzo per misurare con esattezza
dei multipli di una lunghezza campione. Questo apparato però, pur consen tendo una altissima precisione di misura, non può essere impiegato su lunghe distanze se non si verifica un complesso di condizioni eccezionali, per cui si sono potute misurare lunghezze appena di poco superiori agli 800 m, ed il suo uso si può ritenere limitato a costituire delle basi di taratura per fili invar.
In seguito, e come conseguenza dello sviluppo che avevano avuto durante la guerra gli studi nel campo dell’elettronica e dei mezzi radar, vi fu una numerosa serie di studi tendenti a sfruttare la misura del tempo di propaga zione delle onde elettromagnetiche per la misura delle distanze.
Tralasceremo di parlare delle realizzazioni conseguite per mezzo dei radar, che esulano dall’argomento in questione, e ci limiteremo a dare al cuni accenni sulle realizzazioni conseguibili con gli strumenti sul tipo del Geodimetro e del Tellurometro.
Questi strumenti costituiscono un decisivo passo avanti per la Geodesia operativa: la misura diretta delle lunghezze, con la precisione necessaria per le operazioni geodetiche, è infatti divenuta una operazione economica mente possibile, e talvolta addirittura vantaggiosa rispetto alla triangola zione classica. Dal punto di vista della precisione, inoltre, si ha che mentre gli errori medi di misura di una lunghezza sono già di per sé inferiori a quelli che si otterrebbero calcolando la lunghezza stessa per mezzo di un lato noto e di angoli misurati, le misure sono indipendenti tra loro e non vi è propa gazione di errori.
Il Geodimetro ed il Tellurometro (si usa qui il nome Tellurometro perché questo apparecchio è stato il primo in ordine di tempo ad avere pra tica applicazione, ma si vuol comprendere con questo nome anche gli altri apparati che usano lo stesso principio di funzionamento, quali, ad es., l’Elec trotape della Cubic Corporation ed il Terrameter della Wild) sono stru menti che, in ultima analisi, hanno un principio di funzionamento assai si mile: la principale differenza tra i due strumenti, che, come vedremo, ne condiziona l’uso, è che il primo usa come onda portante un raggio lumi noso, ed il secondo un'onda elettromagnetica.
Il principio di funzionamento di questi apparecchi e le modalità di mi sura sono già stati descritti; ciò che invece interessa qui è illustrare i loro campi di applicazione.
Il Geodimetro consente di effettuare misure con un ordine di precisione che è paragonabile a quello delle basi geodetiche; esso però ha delle carat teristiche che non ne permettono un uso sistematico. Anzitutto, ha peso e dimensioni che, pur essendo accettabilissimi, non consentono per l'apparato master il trasporto a spalla, per cui l’impiego deve essere limitato ai luoghi raggiungibili con automezzo; in secondo luogo, poiché la misura viene fatta per mezzo di raggi luminosi, il suo impiego è possibile solo di notte. Queste
condizioni, quindi, fanno escludere tutti i punti in alta montagna, sui quali anche se fosse possibile portare lo specchio della stazione secondaria non sarebbe possibile la permanenza dell'operatore, e fanno escludere anche molti centri abitati, nei quali l'illuminazione degli edifici e delle vie potrebbe disturbare notevolmente le operazioni di misura. In linea teorica, la luce non modulata non interferisce nella misura: essa però crea un disturbo di un livello tale da soffocare il segnale modulato. L'uso del Geodimetro non è quindi possibile di giorno, oppure nella luce crepuscolare, e riesce molto difficoltoso, o addirittura impossibile, nelle notti di plenilunio o quando vi siano luci artificiali abbastanza intense che arrivino al ricevitore.
Per il suo funzionamento, l'apparato necessita di corrente alternata con una potenza di circa 250 watt, il che esclude l’uso di accumulatori ed im plica l'alimentazione a mezzo della rete luce, oppure mediante un buon gruppo elettrogeno capace di erogare la potenza necessaria con una suffi ciente stabilità in frequenza ed in tensione. Un gruppo elettrogeno di questo genere ha necessariamente un peso ed un ingombro non indifferenti.
La misura, come è noto, è basata sulla valutazione del tempo impiegato da un raggio luminoso emesso dall’apparato master, posto su un estremo della distanza da misurare, per ritornare all'apparato emittente dopo essere stato riflesso da uno specchio posto sull’altro estremo della distanza stessa. Gli specchi risponditori sono di tre tipi: piano, sferico, a prismi. L'apparato master emette un fascio luminoso che, teoricamente formato da raggi paral leli, è in pratica un cono di piccolissima apertura, per cui lo specchio riceve una buona percentuale dell’energia emessa. Lo specchio piano, la cui superfi cie riflettente è lavorata otticamente, riflette la luce ricevuta rinviando un fascio luminoso avente la stessa divergenza del fascio incidente: si ha cosi la minore perdita possibile di energia, ma è nececsario che lo specchio sia accuratamente puntato ed il puntamento deve venire continuamente ret tificato perché le stesse variazioni che si verificano nel coefficiente di rifra zione atmosferica, sensibili soprattutto nel senso zenitale, fanno si che il fascio riflesso non colpisca più la parte ricevente dell'apparato master. Con lo specchio sferico il fascio incidente viene riflesso in forma di fascio conico con angolo di apertura di circa 30’: si ha cosi una maggiore dispersione dell'energia emessa, ma l’intensità di luce che ritorna all'apparato master è più stabile, e non è, in generale, necessario rettificare il puntamento du rante la misura. Lo specchio a prismi, composto di elementi riflettenti va riamente orientati, rimanda un fascio di luce con un angolo di apertura molto grande, per cui si ha una perdita di energia assai sensibile, ma il pun tamento risulta molto facilitato e non è necessaria alcuna sorveglianza du rante il tempo di misura. La quantità di energia che deve essere ricevuta di ritorno dall’apparato master per l'effettuazione della misura è assai piccola: lo strumento infatti indica una buona sensibilità anche quando la luce ri
flessa dallo specchio non è visibile ad occhio nudo, e possono essere misu rate distanze notevoli anche con atmosfera non molto limpida. Una con dizione necessaria, data la limitatissima ampiezza del fascio luminoso emesso, è che dopo il puntamento l'apparato master non subisca spostamenti ango lari, tranne quelli eventualmente necessari per rettificare il puntamento in seguito a variazioni dell'indice di rifrazione. E quindi opportuno che agli estremi della distanza da misurare vi siano dei solidi basamenti su cui fissare gli apparati.
La portata utile per la misura è maggiore di quanto si potrebbe imma ginare: dagli operatori dell’I.G.M. sono state misurate agevolmente, anche con lo specchio a prismi, distanze di quasi 33 km, e dalla constatazione delle condizioni in cui sono state effettuate le operazioni, si può ritenere che con lo specchio piano sia possibile superare notevolmente i 40 km, sia pure in un tempo più lungo dell’ordinario a causa della difficoltà di mantenere pun tato lo specchio.
La misura di una distanza, consistente in dodici serie di misure con le tre frequenze, può essere effettuata in tre o quattro notti di lavoro, il che significa che in media, tenuto conto delle notti con condizioni atmosferiche avverse, occorre preventivare una diecina di giorni; l’approssimazione otte nibile può essere valutata in un milionesimo della distanza stessa, oltre ad un errore costante di + 1,5 cm. Il confronto con il tempo e la spesa oc correnti per misurare una distanza di uguale lunghezza con un apparato a fili di invar, ammettendo che la misura fosse possibile, dà una idea del pro gresso conseguito.
L'esperienza raggiunta all'Istituto Geografico Militare ha consigliato di stabilire le seguenti modalità operative: la squadra di misura è composta da due operatori, uno per la stazione master e l’altro per lo specchio, cia scuno dei quali dispone di un automezzo da ricognizione con una Roulotte a rimorchio. La dotazione strumentale è costituita, oltre che dal Geodimetro e da due gruppi elettrogeni per l'alimentazione, da due apparati radio rice trasmettitori, due teodoliti, due elioscopi, una stadia orizzontale ed altri mezzi metrici, due binocoli, una macchina calcolatrice, un piccolo gruppo elettrogeno per la carica delle batterie delle Roulottes, un baracchino smon tabile entro cui sistemare l'apparato master. Completano la squadra i due autisti ed un radiomontatore.
Per la misura, viene costruito ad un estremo un solido pilastro in cal cestruzzo avente una sezione di 60 x 60 cm° ed un'altezza di circa 40 cm, su cui fissare l'apparato master: poiché, in generale, gli estremi delle di stanze da misurare sono punti trigonometrici di 1° ordine sui quali esiste un pilastrino per la stazione trigonometrica, la nuova materializzazione viene fatta fuori centro e vengono accuratamente misurati gli elementi di riduzione. Intorno al pilastro viene montato il baracchino, fissato a mon
tanti cementanti nel terreno, avente la parte anteriore amovibile ed un'ampiezza sufficiente a contenere lo strumento e l’operatore il quale du rante la misura sta seduto dietro l'apparato. Questo durante la giornata di inizio della misura viene fissato al pilastro per mezzo di un sostegno prov visto di viti di bloccaggio, e viene accuratamente puntato ad un elioscopio | posto sull’altro estremo. Per tutta la durata della misura lo strumento non | viene più tolto dal pilastro, il che è consentito dal fatto che per mezzo della Roulotte è possibile il soggiorno sul luogo, per cui per iniziare le operazioni di misura è sufficiente accendere l'apparato e rettificare il puntamento me- | diante spostamenti micrometrici fino ad ottenere la massima intensità del segnale di risposta. |
All’altro estremo, lo specchio viene sistemato, in generale, sul pilastrino | della stazione trigonometrica mediante un basamento che può accogliere i tre tipi di specchio. Quando le condizioni atmosferiche lo consentono, an che lo specchio viene lasciato in sito; tuttavia, anche se viene tolto, il nuovo puntamento è una cosa agevole je in ogni caso una misura non viene mai effettuata con un solo tipo di specchio. I due operatori durante la misura devono essere in continuo contatto radio, al fine di prendere i necessari ac cordi sulle operazioni da eseguire: rettifiche di puntamento, rilevamento delle condizioni meteorologiche, inizio e fine della serie di misure, ecc. La radio, inoltre, costituisce pressoché il solo mezzo di comunicazione tra le due parti della squadra operativa, in quanto normalmente i due opera tori non hanno occasione di incontrarsi. È perciò essenziale che il funzio namento degli apparati radio sia assicurato, per la qual cosa è prevista la presenza di un radiomontatore pronto ad intervenire.
Quanto è stato fin qui esposto circa le caratteristiche di impiego del Geo dimetro indica di per sé le applicazioni di cui lo strumento è suscettibile: il suo precipuo uso in Geodesia è la misura di lati della triangolazione di 1° ordine destinati a costituire altrettante basi geodetiche. Si ha cosi il van taggio di una precisione maggiore, in quanto il lato della triangolazione viene misurato direttamente e non attraverso una rete di sviluppo, e di un costo molto minore.
L'impiego del Geodimetro per l'effettuazione di una rete di trilatera zione non è, in generale, possibile perché sarà ben difficile che i vertici pro gettati posseggano i requisiti necessari illustrati sopra, ed inoltre il tempo richiesto sarebbe troppo grande. In casi particolari, infine, il Geodimetro potrebbe essere usato per poligonali geodetiche di alta precisione.
In particolari lavori di ingegneria vi è talvolta la necessità di misurare una o due basi per il dimensionamento di una rete trigonometrica: anche in tali casi il Geodimetro sostituisce vantaggiosamente il metodo tradizio nale, poiché in minor tempo si ottiene una misura più precisa, ed inoltre vi può essere la possibilità di effettuare la misura di una sola distanza che
unisca due punti alle estremità della rete, con un ulteriore vantaggio di precisione nelle lunghezze dei lati calcolati.
Il Tellurometro presenta caratteristiche di impiego totalmente diffe renti: anzitutto, l’apparecchiatura è estremamente più maneggevole e non offre grandi difficoltà per il trasporto a spalla; il tempo di misura, inoltre, è molto più breve e l'alimentazione può essere effettuata mediante batterie di accumulatori. Tutto ciò rende possibile uno snellimento della squadra operativa ed una rapidità di lavoro molto notevole.
Il principio di funzionamento è sostanzialmente identico a quello del Geodimetro: la distanza viene valutata misurando il tempo impiegato da un'onda elettromagnetica, anziché luminosa, a percorrere in andata e ritorno la distanza tra la stazione primaria e la secondaria. L'influenza delle condi zioni atmosferiche pone inoltre meno limitazioni alle possibilità di misura di quanto non accada col Geodimetro: la foschia o la nebbia non recano infatti alcun disturbo, e neppure la pioggia, almeno fino a quando non rag giunga una certa intensità. Per contro, la natura del terreno situato tra i due estremi della distanza da misurare ha una grande importanza, almeno per misure con precisione adeguata alle necessità geodetiche.
Col Geodimetro, la natura del terreno non influisce sulla propagazione dei raggi luminosi né li riflette; le onde emesse del Tellurometro costitui scono un fascio conico che ha un'ampiezza di alcuni gradi: la parte di esso che urta sul terreno può con facilità venire riflessa e giungere all'apparato secondario sovrapponendosi alla parte ricevuta direttamente e da questo essere rinviata all'apparato principale. Analoghi fenomeni accadono anche sul percorso di ritorno, per cui alla stazione master la misura del tempo di propagazione viene alterata per effetto delle onde riflesse. Anche anomalie locali del campo magnetico terrestre possono avere influenza sulla misura.
Il fenomeno della riflessione assume caratteristiche diverse a seconda della lunghezza d’onda, e quindi della frequenza, dell’onda portante emessa. La misura, pertanto, viene effettuata modulando i segnali su portanti di fre quenze diverse, dieci o dodici, uniformemente intervallate tra loro. Poiché l'alterazione prodotta dalle riflessioni ha un andamento sinusoidale, essa potrebbe venire del tutto eliminata qualora si potessero ottenere i valori distribuiti in un intero periodo. Il criterio seguito nella pratica per giudicare dell’attendibilità della misura è appunto questo: riportati in diagramma come ordinate i valori dei tempi relativi alle varie frequenze impiegate, se il grafico ottenuto ha un andamento all’incirca sinusoidale la misura è con siderata attendibile e come valore viene assunto quello corrispondente al l’asse della sinusoide; l’approssimazione è data dallo scostamento tra il va lore assunto ed il valore effettivo di questo asse. Se invece dal diagramma 2 non risulta individuabile il periodo della sinusoide, la misura non può essere p depurata dagli effetti delle riflessioni e deve essere ripetuta in condizioni
diverse: talvolta è sufficiente spostare anche di poco uno dei due apparati, mentre in altri casi la natura del terreno è tale che questo si comporta come un vero e proprio specchio, causando riflessioni multiple i cui effetti non è possibile eliminare, come avviene, ad esempio, quando lungo il percorso si trova un'estesa superficie coperta da acqua. L’approssimazione che si può ottenere col Tellurometro, considerando come valore della misura la media di almeno sei determinazioni, ognuna effettuata con dodici frequenze e con un regolare diagramma, eseguite in almeno due giornate diverse, è valuta bile ad una quantità fissa di + 5 cm, oltre ad una quantità dipendente dalla distanza, valutabile a tre milionesimi della distanza stessa. La precisione, quindi, è di poco inferiore a quella di un lato calcolato mediante una rete di sviluppo di una base geodetica; in ogni caso, però, non si ha propagazione di errore da un lato ad un altro, ed in definitiva si ottiene una precisione nelle lunghezze superiore a quella che potrebbe derivare dal calcolo di una triangolazione. Con questo strumento, inoltre, si possono agevolmente mi surare distanze di 80 km ed oltre.
Da quanto è stato finora detto, risulta che l'applicazione tipica del Tel lurometro per scopi geodetici è la trilaterazione. Tutti i luoghi accessibili per le misure col teodolite, infatti, lo sono anche per le misure tellurome triche, e con una adeguata organizzazione di apparati, ognuno dei quali può funzionare sia come stazione primaria che come secondaria, le opera zioni di misura possono venire effettuate in un tempo molto più breve, e quindi con maggiore economia, in quanto non sussistono più gli impedi menti causati dalla scarsa visibilità. Il tempo occorrente per una misura sulle dodici frequenze è di circa mezz'ora.
Non bisogna però ritenere che il procedimento di triangolazione sia una cosa ormai sorpassata e l’insistere nel suo impiego sia una negazione del progresso ed un indice di non volersi adattare ai tempi nuovi: come sempre, la via giusta è la via di mezzo. Dovendo progettare una rete di tri laterazione, infatti, sarà ben difficile che tutti i lati possano essere situati in terreno adatto alle misure tellurometriche: sarà quindi opportuno misurare le lunghezze di quei lati sui quali la misura possa avere il grado di preci sione voluto, e completare con misure angolari il numero di elementi mi surati necessari per il calcolo; misure angolari sovrabbondanti, inoltre, of frono ulteriori possibilità di compensazione, per cui è in ogni caso utile unire i due procedimenti. Naturalmente i metodi di compensazione di que sto genere di misure risultano notevolmente variati rispetto allo schema classico: tuttavia le moderne macchine calcolatrici elettroniche permettono di far passare in seconda linea le difficoltà di calcolo.
La grande praticità di impiego del Tellurometro e la estrema rapidità di misura rendono vantaggioso il suo uso anche per la determinazione dei punti trigonometrici di ordine inferiore e per rilievi topografici. In quest'ul
timo caso, poi, è sufficiente eseguire le determinazioni di distanza effettuando una sola serie di misure con un numero ridotto di frequenze, in quanto gli errori prodotti dal non eliminare completamente gli effetti delle rifles sioni consentono una precisione che è largamente sufficiente alla scopo. Il procedimento da seguire sarà ancora una combinazione di misure angolari e di lunghezza, e consisterà nel determinare i punti per mezzo delle loro coordinate polari: da un punto di stazione verranno misurate le direzioni, azimutali e zenitali, ai punti da determinare, e quindi mediante il Telluro metro verranno misurate le distanze. Il giro d’orizzonte azimutale, ovvia mente, dovrà venire orientato per permettere il calcolo degli azimut. Allo scopo di evitare errori grossolani, oppure per procedere ad una compensa zione delle misure, sarà opportuno che ogni punto venga determinato da almeno due punti noti; si potranno anche costituire delle reti di trilatera zione secondarie, appoggiate a punti di coordinate note, analogamente a quanto viene fatto per le triangolazioni di ordine inferiore.
Per il calcolo di riduzione al geoide delle distanze misurate, sia col geodimetro che col Tellurometro, è necessario che siano note le quote degli estremi delle distanze stesse; nelle misure di carattere geodetico, data la lunghezza dei lati misurati, il problema altimetrico viene, generalmente, risolto per altra via; nelle trilaterazioni di raffittimento o nei rilievi di ca rattere topografico, in cui le distanze sono al massimo dell’ordine di gran dezza dei dieci chilometri, possono essere agevolmente fatte determinazioni di livellazione trigonometrica misurando l’angolo zenitale del lato misurato col Tellurometro. Questo procedimento, anzi, permette la determinazione del dislivello per via trigonometrica anche tra punti non determinati in planimetria, come accade, ad es., quando occorre collegarsi ad un caposaldo della livellazione geometrica, di cui generalmente non sono note le coor dinate. L'impostazione del problema è assai semplice: assumendo come riferimento la superficie della sfera locale, siano (fig. 1) A e B i due punti di cui si vuol determinare il dislivello, e D la loro distanza misurata. . Z, A e- Ca \ LI Q, Q_ P
Siano Qa, Zi, Q8, Z5, le quote e le distanze zenitali vere dei punti A e B rispettivamente, supponendo che la quota Q4 sia nota; siano inoltre R il raggio della sfera locale e y l'angolo tra le verti cali dei due punti. Si hanno allora le seguenti relazioni: R Li Zi \ + Qa = “sen yo Sen Zp (1) | R+Q UD nZ ET seny Sen ZA onde, sottraendo membro a membro, D ’ ’ Q8B _ Qa = csenyo (sen Zi AT SEN ZL B) e dessendo Zg = —(Z4—7Y), onde sen Zz = sen (Z4 — y), e po nendo seny = Y D Y , Y / Y (2) Qa—-Qa=2 sony SD 9 COS (z A — 4) = Dcos (z A 3) Detta Za la distanza zenitale apparente dal punto A, e tu la cor rezione di rifrazione, posto, secondo l’ipotesi gaussiana, , K Za=ZA4+ CA; da= 3 <> ove K è il coefficiente di rifrazione, la (2) diviene | 1--K QQ dp (z- 18 e, sviluppando in serie di Taylor e trascurando le potenze dell’incre mento superiori alla prima 1-K Q8s — Qa = D (cos Za + — gg — Sen VA 1) Dalla prima delle (1), tenuto conto della relazione tra Z3 e Zi: D? si ha, a meno di termini dell'ordine di grandazza - Ra cos Za : __ D sen Za =, (I di) z (= RL RT R) sen Za
da cui 3 Q Qi = D Z 17 hr 2Z,(1 Qu (3) 8 —Qa = D cos Z4a + R sen a\l- R
La formula potrebbe venire ulteriormente elaborata, ponendo in forma diversa il secondo termine che figura al secondo membro onde analizzare il contributo delle varie quantità, ma la cosa può formare oggetto di una trattazione a parte, non essendo questo lo scopo della presente nota. Ciò che invece interessa qui è fare un raffronto circa le precisioni conseguibili con questo metodo e con il procedimento classico della livellazione trigonometrica. Le formule per il calcolo sono nei due casi (trascurando il termine che contiene RI) | 1-K | Q8s — Qa = D cos Za + — SR D? sen? Za (3°) | pezza 10 PD
Q8B _ Qi = ctg A + o) R n sen? Zi ove con D' si è indicata la distanza tra i due punti considerata sulla su perficie della sfera.
Ci proponiamo di esaminare l’entità dell'errore nel dislivello cau sato da errori nell'angolo zenitale e nella distanza: differenziamo perciò le due relazioni (3') considerando come variabili una volta Za ed una volta D. Si ha, indicando con A il dislivello | 1-K | dA = (-D sen Za + - PR D? sen Za cos Za| dZa dA D AD Z ) dZ. 7 (- sent Za ORO sent Zg 08 #4) 024 od anche, ponendo nei due casi, in via di approssimazione, D cos Za =A e D' ctog Za = 1-K | dA = D sen ZA — 1 + a Ro s) dZa 4) ! loda D | 1138 s)dz o senzZa \OORO sd,
Queste relazioni mostrano che nel caso della distanza misurata col Tellurometro l'errore nella distanza zenitale provoca un errore nel dislivello proporzionale al prodotto D sen Za, mentre nel secondo . D' caso esso è proporzionale a —-=—— ed essendo sen Z4<1 quest’ul sen? ZA tima quantità non è mai minore della prima, tenendo presente che è, all'incirca, D sen Za = D'. In quanto al termine entro parentesi, si ha che per dislivelli positivi il primo caso è più vantaggioso, mentre per dislivelli negativi lo è il secondo; il contributo di questo termine, d'altra parte, è assai piccolo.
Circa l’effetto prodotto da un errore nella distanza, si ha: f 1-K | di = (cos Za + —R_D sen? zi) dD 1-K D'
I dA = (crg ZA + RO #2) dD e, con le posizioni fatte precedentemente,
A 1-K ; | da = (5 + RD sen z) dD (5) | | in = (A I-K_D \b (e =\prt RO Zi)
L'errore in distanza provoca un errore di cui una parte è propor zionale al dislivello ed un’altra alla distanza, ed entrambi i coeffi centi di proporzionalità nel primo caso sono minori che nel secondo; la stessa quantità dD, inoltre, nel secondo caso è maggiore che nel primo poiché la distanza viene calcolata dalle coordinate planimetriche dei punti A e B, ed ha una precisione certamente minore di quella de rivante dalla misura diretta.
Da quanto è stato esposto risulta il vantaggio che si ottiene, anche rispetto alla precisione, nella livellazione trigonometrica con l’impiego del Tellurometro. Lo stesso procedimento classico dei rilievi geode tici, però, consistente nel separare il problema planimetrico da quello altimetrico, può darsi che stia per essere mutato radicalmente. Mentre, infatti, da un lato sono sempre più numerosi gli studi teorici nel campo della « Geodesia in tre dimensioni », dall'altro siamo appena agli inizi nello studio ce nella sperimentazione dei nuovi strumenti di misura delle distanze. È facile prevedere che il progresso non si arresterà al