TI) LA RETTIFICA DEGLI STRUMENTI DI MISURA

1- Condizioni di rettifica interna ed esterna —_ A se, Co

Gli elementi dello schema che in uno strumento di misura realizzano con cretamente quelle grandezze che nella 1) si sono indicate con Gr...Gy, e perciò debbono ivi comparire con misura prefissata, prendono il nome generico di « con dizioni di rettifica » di uno strumento. Rettificare uno strumento od un organo strumentale vuol dire perciò realizzare, in seno a quell’organo, le grandezze G; la cui misura risulti uguale al valore prefissato nel progetto.

In una livella da assi una delle condizioni di rettifica impone che l’angolo formato dalla tangente centrale della livella e la generatrice degli appoggi sia uguale a zero. La livella perciò si dirà rettificata quando i due assi sono paralleli.

In un calibro si richiede che sia nulla la distanza fra lo zero del nonio e lo zero della scala, quando le due guancie sono accostate fino a toccarsi; questa è perciò una delle condizioni di rettifica. | Una stadera si dirà rettificata quando essendo il piatto vuoto, posto il ro mano sulla graduazione zero della scala, il braccio della stadera è orizzontale.

Un comparatore di lunghezze permette di ottenere la lunghezza assoluta, riferita cioè al metro campione, quando la misura viene eseguita in ambiente alla temperatura di taratura. Solo a questa condizione lo strumento è rettificato.

La misura degli angoli azimutali richiede che l’asse principale del teodolite sia verticale. " Fra le grandezze che costituiscono le condizioni di rettifica dei tre strumenti citati prima (livella, calibro, stadera) e le grandezze che costituiscono le condi zioni di rettifica degli ultimi due strumenti citati (comparatore e teodolite) sen tiamo che esiste una differenza sostanziale. Mentre infatti nei primi tre casi le condizioni di rettifica sono grandezze che condizionano la posizione o il legame reciproco fra elementi dello schema, e cioè sono interne allo schema stesso e re lative ai suoi elementi; negli altri due casi le condizioni stabiliscono stati opera tivi riferiti ad elementi assoluti o comunque esterni agli schemi strumentali.

Chiamiamo condizioni di rettifica interne le prime, condizioni di rettifica esterne le seconde, —"""=""""="" e °

La convenienza di tenere separati questi due tipi di condizioni di rettifica deriva dal fatto che in parecchi strumenti di misura mentre le prime condizioni restano acquisite o per costruzione o per operazioni periodiche di rettifica assai intervallate nel tempo, le seconde debbono essere imposte ogni volta che si esegue una operazione con quello strumento. ——" Oianto € stato detto, ma soprattutto gli esami citati portano a concludere che le grandezze del tipo G indicate come condizioni di rettifica interna hanno nello strumento una funzione di legame fra gli elementi che costituiscono un organismo.

Tale legame può avvenire anche per mezzo delle grandezze costanti ma di valore




indeterminato che nella 1) abbiamo indicato con C. I legami ottenuti per mezzo delle grandezze di tipo G sono però più frequenti (anzi in molti casi ne costi tuiscono la totalità) pet quegli strumenti che misurano indirettamente le gran dezze di una certa classe; mentre i legami del secondo tipo ottenuti attraverso le grandezze C, sono presenti in gran numero -in quegli strumenti che misurano le variazioni delle grandezze, o variometri. 2 - Modalità di imposizione delle condizioni di rettifica interna

Già si è detto che uno strumento è internamente rettificato quando le gran dezze tipo G che in quello strumento compaiono come legami fra gli elementi, sono state realizzate nelle misure prefissate. Questa imposizione o rettifica degli strumenti può essere compiuta secondo modalità ed in momenti differenti.

Il primo modo di rettificare lo strumento è quello di imporre permanen temente le condizioni di rettifica in sede costruttiva. Il costruttore nel realizzare lo schema dello strumento provvede a costruire le grandezze di legame tra gli elementi nella misura voluta. Tale condizione viene da lui ottenuta o con op portuni metodi di lavorazione od aggiustando le parti con operazioni di ritocco. In entrambi i casi lo strumento, una volta costruito e montato, non può più subire modifiche; il legame fra gli elementi è cioè di tipo rigido.

Ad esempio: la normalità tra l’asta del cursore e la guancia fissa del cali bro, è una condizione di rettifica ottenuta per costruzione; i collari di appoggio dell’asse meccanico secondario del cannocchiale di un teodolite moderno vengono costruiti in maniera tale da' generare un asse di rotazione normale all’asse prin cipale. dell’alidada. Queste condizioni di rettifica risultano permanentemente de finite in fase di lavorazione.

In un secondo modo è possibile rettificare uno strumento; le grandezze di legame fra gli elementi di un organo strumentale vengono a loro volta realizzate mediante otgani intermedi composti di elementi variabili; questi elementi inter medi vengono mossi fino a che le grandezze di legame o condizioni di rettifica abbiano raggiunto la misura voluta. Le condizioni di rettifica vengono imposte una prima volta in sede di montaggio dello strumento ma possono essere nuova mente realizzate anche in momenti successivi variando gli elementi dell’organo in termedio a questo scopo predisposto. La possibilità di riottenere la condizione di rettifica eventualmente perduta, costituisce la fondamentale differenza fra questo e il metodo precedente. In una bilancia di precisione una delle condizioni di rettifica è la seguente: quando i piatti della bilancia sono vuoti l’indice deve trovarsi sullo zero della scala. Si ottiene questa condizione muovendo con una vite un piccolo peso, posto in posizione opportuna. In maniera concettualmente analoga si rettifica lo zero della scala di un amperometro; si ruota una vite che agisce direttamente sull’equipaggio mobile e si porta l’indice sullo zero della scala . quando il circuito risulta aperto e perciò la corrente è nulla. Accanto a questi casi nei quali le operazioni richieste sono semplici, vi sono altri casi assai più com «plessi ma che rientrano sempre in questo schema.






Vi è poi un terzo metodo che differisce sostanzialmente dai primi, anzi non è un vero e proprio procedimento di rettifica poiché non richiede operazioni da eseguirsi sullo strumento, ma consiste in una metodologia operativa, cioè in una serie di operazioni da eseguirsi con lo strumento, ogni volta che lo si usa per la misura di una grandezza. ,

La regola di Bessel e la doppia pesata sono esempi tipici di questo criterio di rettifica. La regola di Bessel dice che la media delle misure di un angolo azi mutale ottenute operando con un teodolite nelle due posizioni coniugate del can nocchiale e dell’alidada, è esente dalla influenza degli errori residui di srettifica dell’asse di collimazione e dell’asse di rotazione secondario del cannocchiale. La regola della doppia pesata prescrive di misurare una massa disponendo una prima | volta la massa da misurare su di un piatto, la massa campione sull’altro, quindi eseguire nuovamente la misura invertendo la posizione della massa da misurare e di quella campione. La media delle due misure cosî ottenute è esente dagli errori dovuti alla srettifica dei bracci dei due piatti cioè alla loro eventuale di versità.

In tal modo non si opera direttamente una rettifica strumentale, ma si ret tificano le misure. | 3 - Modalità di verifica dello stato di rettifica interna di uno strumento

Da quanto esposto nel precedente paragrafo nascono due interrogativi: come si determina lo stato di rettifica di uno strumento? In base a quali criteri viene applicato l’uno o l’altro dei differenti procedimenti di rettifica strumentale?

Innanzitutto possiamo chiederci quando conviene verificare o rettificare uno strumento. Il realizzatore dello strumento come prima operazione deve sincerarsi entro quali limiti lo schema teofico viene concretizzato negli elementi che lo com pongono. Questa fase di verifica necessariamente precede la fase di montaggio de gli elementi dello schema pet costruire gli organi. È in questa seconda fase co struttiva che si presenta invece la necessità di imporre alle grandezze di legame fra gli elementi, le misure previste dal progetto.

Chiameremo questa la rettifica di montaggio. Se il progetto costruttivo pre scrive che le condizioni di rettifica degli organi siano realizzate in maniera rigida, proprio in sede di montaggio vengono eseguite le modifiche permanenti degli elementi di collegamento per soddisfare le condizioni di rettifica. |

Lo strumento si trova ancora smembrato, è perciò possibile usare metodi e strumenti di tipo speciale, propri della officina ove avviene il montaggio, della sua dotazione strumentale, della precisione richiesta. I problemi da risolvere non sono difficili poiché quando le parti dello strumento sono ancora separate l’una dall’altra è possibile operare su di esse e verificare i risultati con strumenti di retti concettualmente semplici.

Quando lo strumento è per costruzione munito di organi intermedi di ret tifica, anche in fase di montaggio la verifica viene eseguita sull’organo completo;




‘essa perciò si presenta con le stesse difficoltà che incontra l’operatore in occa sione delle verifiche successive.

Va poi ricordato che l'operatore attento, qualunque sia il tipo di strumento, ‘con condizioni di rettifica rigide o variabili, si sente in dovere di controllare pe riodicamente lo strumento che usa. Nel primo caso il suo controllo sarà più di lazionato nel tempo e mirerà a stabilire se le condizioni di rettifica si sono man tenute entro i limiti consentiti oppure, in caso contrario, se convenga inviare lo strumento al costruttore per una revisione, o metterlo fuori uso. Nel secondo caso il suo controllo sarà pit frequente e darà le indicazioni necessarie per even tuali interventi sugli organi intermedi onde ripristinare le condizioni di rettifica.

Queste verifiche dello stato di rettifica degli organi strumentali, eseguite ‘sullo strumento montato ed operante, presentano non poche difficoltà tutte di ‘pendenti dal fatto che nell’organo dello strumento coesistono più condizioni di rettifica non tutte contemporaneamente soddisfatte. Queste difficoltà stanno in fatti nella necessità di isolare dagli altri, l’effetto di una sola condizione di ret tifica non appieno realizzata. -Un sommario esame dei diversi metodi di verifica dello stato di rettifica di uno strumento porta a classificarli în diretti ed indiretti.

I metodi diretti son quelli che permettono di determinare l’etrore di srettifica misurando direttamente la grandezza di legame senza smontare lo stru mento e senza alterarne la funzionalità. In generale ciò è possibile per condi ‘zioni semplici, in strumenti semplici.

Questo è per esempio il caso della condizione di zero della scala, del ca libro; essa si verifica direttamente accostando, fino a che si toccano, le due guancie e quindi controllando la posizione dello zero del nonio. In un microscopio a scala, si verifica, per confronto diretto, se l’immagine dell’intervallo di gradua ‘zione formata sul piano del reticolo è lunga come l’intervallo compreso fra gli ‘estremi della scala riportata sul reticolo stesso.

Rientta nel tipo di verifica indicato come diretto, quello basato sul confronto fra l’organo sottoposto a controllo ed un organo simile i cui elementi sono in condizione di rettifica praticamente perfetta. È questo il caso della verifica di ‘normalità fra due guide usando una squadra preventivamente rettificata.

In tutti questi esempi come ovvio la misura diretta o il confronto isola una condizione di rettifica dalle rimanenti.. Non cosîf avviene invece quando la ve rifica procede con metodi indiretti. Questi metodi non raggiungono la parte da verificare ma, indirettamente, deducono lo stato di rettifica di un organo analiz zando il risultato di una operazione o di una misura particolare. La scelta del tipo e delle caratteristiche della misura particolare da impiegarsi allo scopo è il punto più difficile da superare perché si tratta di isolare dagli altri l’effetto di una sola condizione di rettifica. Occorre cioè trovare un tipo di operazione o di misura che risenta in maniera ‘esasperata l’influenza di quella condizione mentre "è quasi insensibile alla influenza delle altre. Questa ticerca va condotta innanzi © tutto sulla espressione analitica dello strumento, la 1). Il primo passo per questa indagine richiede il calcolo del differenziale totale della 1). i In tal modo si riesce a separare analiticamente l’influenza dei piccoli errori




di srettifica. L’effetto totale risulta infatti come somma di tanti termini, ciascuno dei quali è ottenuto dal prodotto della variazione di una delle grandezze deter minanti per la derivata della funzione f rispetto alla stessa grandezza. Si ricercano allora le condizioni di massimo del coefficiente del termine relativo alla grandezza di legame che ci interessa ed eventualmente quelle di minimo degli altri coef ficienti. Da tale ricerca si ottengono le indicazioni sulle modalità operative da usarsi per isolare o evidenziare l’influenza di una sola condizione di rettifica. Con tali modalità si eseguirà allora la misura di una grandezza nota. Se il risultato di questa misura, confrontato con il valore già conosciuto della grandezza, risulta errato, questo errore sarà dovuto, per quanto si è detto, soprattutto alla srettifica della condizione di legame che si intende controllare.

Si prenda ad esempio un livello moderno. Dalla funzione 1) propria di un livello, si ricava che l’influenza della srettifica dell’asse di collimazione dipende dalla differenza delle distanze fra lo strumento e le due stadie. L’errore di misura cresce proporzionalmente a questa differenza. È ovvio e conseguente il criterio operativo da adottarsi per verificare lo stato di rettifica dell’asse di collimazione: si misura il dislivello fra due punti, già noto in precedenza, ponendo il livello in posizione notevolmente eccentrica rispetto alle stadie poste sui due punti. La differenza fra il dislivello misurato con questa operazione e il dislivello vero già conosciuto è dovuta soprattutto alla srettifica dell'asse di collimazione.

Di tipo indiretto si possono considerare anche quei metodi di verifica dello stato di rettifica degli organi di uno strumento, basati sulla simmetrizzazione delle —operazioni, metodi cui già si è fatto cenno più sopra in occasione della classifi cazione dei metodi di rettifica di uno strumento. Questa volta però la misura in condizioni simmetriche non serve ad eliminare l’influenza della srettifica ma a mettere in luce, dalla differenza delle due misure, la presenza di una errata ret tifica ed a misurare l’entità dell’errore. 4 - Verifica globale della funzione

Quando nessuno dei casi speciali sopra illustrati è applicabile praticamente per verificare lo stato di rettifica delle singole condizioni richieste dallo schema, l’estrema risorsa consiste nel verificare globalmente la funzione finale dello strumento.

Verificare la funzione di uno strumento di misuta significa determinare se esso esegue correttamente le misure delle grandezze comprese entro il campo di validità operativa. Lo strumento si dirà perciò perfettamente funzionale e quindi rettificato quando la sua funzione verrà da lui esplicata correttamente nell’intero campo di misura. È importante, e qui perciò conviene sottolinearlo, che uno stru mento deve essere verificato nell’intero suo campo di misura e non solamente in una sua parte. Eventuali estrapolazioni sono rischiose, ma anche le interpo lazioni non sempre meritano fiducia.

Quanto più lo strumento è complesso, tanto maggiore è il numero delle srandezze Gi che in esso compaiono, varie ed imprevedibili sono petciò le in




terferenze, le interazioni, le correlazioni fra le diverse condizioni di rettifica; cosicché potrebbe accadere che l’assenza di errore di misura in una limitata zona del campo, derivi da interna compensazione degli errori derivanti da due diffe renti srettifiche, limitata però a quella zona.

Verificare tutto il campo è norma fondamentale da seguirsi anche se assai costosa. Verificare globalmente la funzione di uno strumento sull’intero campo di misura, vuol dire infatti introdurre nello strumento perché vengano misurate, una serie di grandezze la cui misura deve essere già nota con precisione suffi ciente; la serie delle grandezze deve coprire senza discontinuità troppo vistose l’intero campo di misura dello strumento.

Le discrepanze fra le misure ottenute e i valori noti, distribuite su tutto il “campo, consentono, a volte con sicurezza a volte con un certo grado di proba bilità, di isolare le cause degli errori e quindi le srettifiche strumentali. Guidati allora dallo schema teorico dello strumento [formula 1)], dalla esperienza, dal l’intuito, si procede alla rettifica dello strumento. Se la paziente opera è stata co ronata da successo, e cioè se nell’ambito del campo di misura gli errori si sono ridotti al disotto dei limiti prefissati, allora si può sperare di avere corretto esattamente gli errori di srettifica esistenti nello strumento. Tuttavia non è im possibile che si sia compensato l’effetto di una srettifica esistente, mediante l’in troduzione dell’effetto, della srettifica di un organo differente. Tale compensa zione di errore equivale effettivamente ad una rettifica se è valida nell’intero campo di misura. La funzionalità dello strumento viene ottenuta ugualmente se non in maniera teoricamente rigorosa, cetto in maniera pratica.

Poiché sussistono tali rischi la necessità della verifica dell’intero campo è indispensabile. Due srettifiche infatti possono compensare gli effetti reciproci in una determinata potzione del campo ma non elidersi, forse sommarsi in un’altra zona di misura.

Questo pericolo tanto più facilmente si presenta quanto più è complesso lo strumento e quanto maggiore è il numero delle condizioni di rettifica che vin colano gli elementi negli organi. Perciò in tali condizioni, altrettanto grande deve essere la cura e la preoccupazione di analizzare e verificare per intero il campo di misura strumentale.

Non deve però trarre in inganno la semplicità apparente dello schema con cettuale di uno strumento. La sua realizzazione pratica può risultare molto com plessa e la funzione algebrica di tipo 1) che rappresenta lo strumento divenire gremita di condizioni di rettifica. Un esempio convincente di ciò che ho detto ora è il coordinatometrto o misuratore di coordinate ortogonali piane; lo schema ideale o geometrico è semplicissimo, la realizzazione meccanica molto complicata. Infatti per esempio la banale condizione geometrica di rettilineità del movimento traslatorio, si frantuma in una molteplicità di condizioni di rettifica meccaniche che riguardano ad esempio non solo la rettilineità delle guide, ma la uguaglianza dei diametri dei cuscinetti a sfere, il parallelismo dei loro assi di rotazione, l’as senza di eccentricità dei cuscinetti, ecc.

Quando si verifica un coordinatometro di alta precisione, si ricorre alla ve rifica globale di funzione, cioè misurando le coordinate dei punti di incrocio dei .




tratti di un reticolo quadrettato. Il reticolo deve avere dimensioni tali da coprire tutto il campo di misura del coordinatometro, deve avere un modulo della qua drettatura di dimensioni sufficienti per ridurre al minimo le interpolazioni dei ri sultati, ed infine le coordinate degli incroci dei tratti devono essere note con pre cisione superiore a quella dello strumento da verificare.

Una volta in possesso dei dati sulla situazione reale dello strumento de cidere sulle rettifiche da apportare è tanto più difficile quanto più gli errori re sidui sono piccoli. Potrà essere conveniente in questi casi non tanto andare a toccare le condizioni di rettifica veramente fuori posto, quanto operare su quella più facilmente raggiungibile per mediare la situazione con patziali compensazioni.

Presupposto essenziale per fare ciò è la prudenza e la garanzia sperimentale che il miglioramento ottenuto sia valido nell’intero campo di misura del coordi natometro. 5 - Pregi ed inconvenienti delle differenti modalità di imposizione delle condi zioni di rettifica interna

Per poter dare una risposta alla seconda delle domande formulate all’inizio del paragrafo 3, è necessaria una analisi dei pregi e dei difetti propri di cia scuna delle tre modalità di imposizione delle condizioni di rettifica interna illu strate nel paragrafo 2.

Con la « rettifica operativa », dal risultato della operazione di misura risulta eliminata l'influenza degli errori dovuti alle rettifiche strumentali. Questa mo dalità è senz’altro la più efficace ed ottiene i risultati migliori. Non è però ap plicabile universalmente a tutti gli strumenti, ed inoltre richiede sempre che le condizioni di rettifica siano già approssimativamente realizzate; infatti la elimi nazione dell’influenza degli errori di srettifica è completa solo se questi sono già sufficientemente piccoli. Va sottolineato però che la « rettifica operativa » richiede in generale un notevole aumento di complessità e di durata delle operazioni di misura non sempre tollerabile e conveniente.

La rettifica permanente in fase costruttiva dello strumento, possiede queste doti importanti: la grande semplicità, la maggior stabilità, la possibilità in certi casi di ottenere risultati migliori.

Uno strumento privo di organi intermedi per la rettifica è più semplice; ciò è tanto più evidente se la condizione di rettifica prevista nello schema viene ‘ ottenuta direttamente dalle macchine operatrici e non per successive approssi mazioni a mezzo di ritocchi. Lo strumento rettificato per costruzione è anche di uso più semplificato; vengono evitate infatti lunghe e penose ricerche dello stato di rettifica; lo strumento è sempre pronto per l’uso. La semplicità porta come conseguenza in generale la maggiore compattezza che a sua volta è garanzia di stabilità. Teoricamente nulla dovrebbe perturbare le condizioni di rettifica rag giunta in fase costruttiva. Inoltre, poiché le condizioni di rettifica vengono im poste agli organi dello strumento quando esso è smembrato, sono possibili con trolli più sicuri del risultato ed operazioni più precise perché dirette.




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Gli incovenienti di questo criterio operativo non sono però meno impor tanti. La maggiore stabilità, su cui si fonda la fiducia dell’operatore, è affidata alla struttura reale del pezzo che come vedremo risente dell'ambiente e della storia dello strumento stesso. La usura è soprattutto temibile; essa porta lo strumento verso una condizione di inutilizzabilità.

Ma vi è anche un altro inconveniente: la maggior precisione della rettifica ” ottenuta sull’organo isolato dello strumento, può risultare completamente illu soria quando l’organo è inserito nel complesso funzionale. Per esempio uno strumento a schema geometrico o cinematico, con condizioni di rettifica di tipo geometrico e cinematico non prevede effetti dinamici. Questi però inevitabilmente esistono entro uno strumento reale. Le grandezze di legame geometriche o cine matiche imposte correttamente e verificate su di un organo isolato, quando gli organi vengono legati entro il complesso strumentale ed assoggettati ad azioni di namiche, si alterano e si modificano e lo strumento non realizza più le previste condizioni di rettifica.

Implicitamente trattando dei pregi e dei difetti del metodo di rettifica per manente, si sono enumerati anche i difetti e i pregi dell’altro metodo. Uno stru mento molto flessibile i cui organi cioè sono rettificabili in qualsiasi momento, è complesso, meno stabile, di uso più difficile, ed alle volte rettificabile con minor precisione. Ogni organo deve contenere a sua volta organi intermedi atti a variare le condizioni di legame delle sue parti; queste parti sono delicate da costruire, a volte difficili da montare e lunghe da mettere a punto. Il legame tra gli ele menti avviene per mezzo di un intermediario che dovrebbe variare solo per vo lontà dell'operatore; ma purtroppo la minor compattezza va tutta a danno della minor stabilità. La consapevolezza di questa variabilità richiede attenzione e so prattutto frequenza di verifiche, quindi minor facilità di uso.

Quando, poi, le verifiche mettono in luce qualche difettoso comportamento, occorre isolarne la causa e ciò non è sempre facile. Si opera allora per intuito o per deduzioni a volte sommatie che possono portare a quei compromessi ibridi di cui si è parlato: si compensa cioè l’effetto di una rettifica, introducendo una srettifica di altro tipo.

Uno strumento totalmente rettificabile non è però mai inutilizzabile: lo si può sempre ricondurre in condizione operativa corretta, sia pure per un brevis simo tempo. Inoltre uno strumento munito di organi intermedi variabili può venire rettificato quando il montaggio totale delle sue parti è completato. Tutte le azioni perturbatrici di carattere secondario che nascono nel montaggio o per la mutua influenza degli organi non sempre previste e prevedibili entro lo schema teorico come le azioni dinamiche citate prima, possono essere corrette o almeno compensate opportunamente mediante una verifica attenta della funzione dello strumento nell’intero campo di misura.

Vano è ora chiedere quale dei due criteri costruttivi seguire nella progetta zione degli strumenti.. Non esiste giudizio certo in proposito. Il problema della stabilità strumentale entra infatti ora prepotentemente in questa scelta ed inter ferisce con gli altri problemi e ne complica in certi casi la soluzione, oppure, in altri, la semplifica eliminando il problema stesso. La instabilità strumentale crea




infatti dei limiti al di sotto dei quali è inutile cercare di scendere con le opera zioni strumentali di misura.

III) LA STABILITA DEGLI STRUMENTI DI MISURA 1 - Cause della instabilità strumentale

La stabilità non è ugualmente importante per tutti i tipi di strumenti di misura. Essa in generale cresce proporzionalmente alla precisione richiesta allo strumento ed alla durata delle prestazioni che da quello si richiedono. Al limite essa stabilisce la barriera invalicabile non solo della misura ma persino della de finizione operazionale della grandezza misurata.

Volendo rimanere in uno schema deterministico di tipo laplaciano, anche più aderente alle applicazioni pratiche di natura tecnica degli strumenti di misura, senza cioè varcare la soglia della indeterminazione tipo Heisenberg, anzi standone assai lontano, si possono cosî sintetizzare antropomotficamente le cause della in stabilità; gli strumenti hanno dei sensi e posseggono una memoria.

Che gli strumenti abbiano dei sensi vuol dire che essi percepiscono l’am biente esterno e le caratteristiche che lo definiscono, anzi interagiscono con questo ambiente esterno con continui scambi energetici a volte anche cospicui. La maggior parte delle volte, veicolo di questi scambi è lo stesso operatore che intervenendo nella misura porta la sua personalità energetica fin dentro lo strumento. La in stabilità e la discontinuità dell'ambiente attraverso questa mutua azione si tra sferisce nello strumento. Non è però di questa instabilità strumentale effetto di retto della instabilità ambientale attuale che mi sembra il caso qui di parlare. Già in altre occasioni si è visto che essa costituisce la causa fondamentale degli errori di misura in particolare di quegli errori che si indicano come accidentali !.

E questa una instabilità che non lascia traccia e che chiameremo reversibile.

Pia ignorata ma più tipica e importante è quella instabilità dipendente dalla memoria degli strumenti. Nella memoria strumentale è accumulato il ricordo della storia dello strumento: storia che risale alle vicende costruttive dei singoli organi e alla operazione di montaggio; storia delle vicende più recenti del lavoro eseguito fino a quel momento, delle variazioni ambientali subite in un passato più o meno remoto. Volendo continuare una calzante analogia umana, potremmo dire che lo strumento accumula nel subconscio questi ricordi repressi i quali poi, a tratti sporadicamente, oppure con lenta azione, scatenano le nevrosi. È questo un tipo di instabilità che lascia traccia permanente e perciò chia meremo irreversibile.

La storia costruttiva comprende tutta la fase che ha dato forma concreta all'elemento dello schema, tutte le azioni meccaniche e quindi dinamiche, tutte le vicende termiche o chimiche, tutte le influenze elettriche o magnetiche subite 1 M. CunIETTI, Gli errori di misura, « Rendiconti Seminario Matematico e Fisico di Milano », Vol. XXXII, 1962.




dai materiali. In ultima analisi si tratta sempre di energie accumulate sotto forma di tensione che cercano di equilibrarsi e di ridursi al minimo, di superare le di suniformità in cui le aveva costrette l’azione coercitiva dall’esterno che ha dato l'aspetto voluto all’elemento. Fusioni, trafilature, forgiature, saldature, e poi tor niture, piallature, ecc. sono tanti esempi di queste azioni coercitive di cui il metallo mantiene memoria e che non sempre la stagionatura artificiale o natu rale riesce a rendere innocua in seguito.

Anche in fase di montaggio l’accumulo energetico continua. I vincoli mec canici creano vincoli dinamici e basta una vite troppo stretta per dar origine a tensioni interne anch’esse tendenti a deformare nel tempo l’organo nei suoi ele menti. Non sempre l’abbondanza di vincoli itrigidisce la struttura dello strumento. Un legame iperstatico necessariamente genera tensioni, queste influiscono sulla stabilità strumentale; è perciò con prudenza che va studiato il criterio meccanico per legare fra loro gli elementi negli organi e gli organi fra loro per dar vita allo strumento.

Della storia più recente quella vissuta dallo strumento già costruito, la vicenda che più profondamente incide nella memoria strumentale è l’usura. Questo invecchiamento progressivo ed inevitabile degli strumenti è in generale propor zionale alle ore di lavoro dello strumento, ma tale proporzionalità non è rigida. Gli strumenti invecchiano non solo concettualmente ma in senso concreto, mate riale, organico, anche senza lavorare. L’usura è uno specchio della vita strumen tale; in essa si riflette la cura dell’operatore, la delicatezza dei trasporti, la cle menza dell'ambiente in cui lo strumento ha vissuto.

Altri agenti di natura esterna si affiancano all’usuta e ne aumentano la dan ‘| nosa attività: sono la polvere, la ossidazione e la storia termica.

Quanto le prime due cause possono influire sulla stabilità strumentale è ben noto a tutti. Forse però è meno evidente come la storia termica possa avere influenza sulla stabilità. Le variazioni di stato termico attuale di uno strumento influenzano la sua risposta e perciò la misura, dando luogo ad errori di tipo accidentale. Queste vi cende termiche dovrebbero infatti solamente far pulsare elasticamente lo stru mento e cioè a stati termici uguali far corrispondere posizioni delle parti, inten sità delle tensioni e sforzi dei vincoli, uguali. Schematizzando grossolanamente effetti ben più complessi e complicati, possiamo intuire che in fase di aumento della temperatura si esercitino sforzi notevolissimi sui vincoli. In fase di tem peratura decrescente se la situazione fosse reversibile gli organi dovrebbero subire sforzi in senso opposto che ristabiliscono la situazione primitiva. Ma purtroppo non sempre nella realtà la condizione è tale da risultare reversibile. Si pensi per esempio al caso in cui la pressione di un organo metallico che si dilata è tale da vincere attriti anche rilevanti. Quando lo stesso pezzo contraendosi ritrova le dimensioni primitive può non essere sollecitato da forze sufficienti a superare gli attriti opposti. Quel pezzo perciò non ritorna nella posizione iniziale e provoca una variazione. La presenza di giochi fra i pezzi dello strumento, aumenta i casi di irreversibilità della azione termica.

Gli esempi meccanici in questo campo sono evidentemente più facili a pen sare che altri, ma tuttavia ritengo che in ogni strumento il solco lasciato dalla




sua storia operativa esista sempre ed eserciti una non secondaria importanza nella determinazione della stabilità strumentale. 2 - Modi di manifestarsi della instabilità strumentale

Elencate con breve ed incompleta scorsa le cause della instabilità strumen tale di tipo irreversibile, possiamo cercare ora di classificare in modo approssi mativo le modalità del suo manifestarsi. Già nel corso della precedente esposi zione si è avuto occasione di accennare incidentalmente ai due diversi modi con cui agiscono quelle cause perturbatrici e precisamente in maniera continua o di scontinua.

Prende il nome di « deriva » l’effetto sulle operazioni di misura, delle varia zioni lente delle caratteristiche strumentali non connesse con lo stato ambien tale della misura, ma dipendenti dalla storia dello strumento usato. Col più ge netico nome di « salto » si indica invece la variazione repentina e permanente subita da uno strumento e che influenzerà tutte le misure da quel momento in poi. Un esempio di deriva è la variazione di lettura di un gravimetro per effetto delle variazioni della struttura delle molle di sospensione della massa. Un altro esempio sono le variazioni progressive di lunghezza di un nastro pet la misura delle distanze, se mantenuto teso per lungo tempo.

Fsempi di salti sono: la variazione dello zeto di una scala termometrica per effetto dello spostamento, in seguito ad un urto, della scala di lettura rispetto al capillare; la piegatura formatasi per cause accidentali, in un nastro di acciaio che ne altera la lunghezza accorciandolo e fa in modo che da quel momento in poi le misure effettuate con quel nastro, risultino tutte maggiorate di una varia zione costante.

Questa prima grossolana schematizzazione dei due tipi fondamentali di com portamento degli strumenti dal punto di vista della stabilità irreversibile, ci per mette ora di impostare il problema dei parametri con cui definire il comporta mento strumentale. In altte parole come l’errore quadratico medio di misura è indice del comportamento dello strumento rispetto ai soli errori accidentali, cosi con pochi indici significativi deve potersi sintetizzare la maggiore o minore stabilità degli strumenti ed indicare la modalità del suo manifestarsi.

Mi sembra naturale la seguente scelta di indici rappresentativi: — pendenza media della curva di deriva riferita ad un periodo di tempo op pottunamente stabilito; — frequenza media dei salti in un ugual periodo di tempo; — valore quadratico medio delle variazioni sistematiche permanenti o salti.

Mediante questi tre parametri resta definito quale dei due tipi di instabilità sia preponderante e quali effetti sulle misure siano in media temibili. La cono scenza di questi dati suggerità poi come conseguenza i modi e procedimenti più opportuni di impiego dei differenti strumenti.

La determinazione numerica di questi indici non è però sempre semplice come può sembrare dalla loro enunciazione. Infatti l'indagine sulla stabilità mette




in gioco il fattore tempo. Il procedimento quasi sempre valido consiste nella ripetizione ad intervalli di tempo prestabiliti della operazione di verifica della funzione; l'operazione è però semplificata perché non interessano le risposte in senso assoluto dello strumento, ma le sue variazioni. In conseguenza di ciò non occorre misurare qualcosa di noto con sufficiente precisione, ma basta ripetere la misura di una serie di grandezze la cui stabilità nel tempo sia sicuramente maggiore di quella dello strumento.

Per esempio il controllo di stabilità di un coordinatometro non occorre venga effettuato su un reticolo quadrettato di modulo noto e perfettamente costante; basta solo ripetere la misura delle coordinate di una serie di punti incisi o ripor tati su un supporto rigido indeformabile.

Il problema forse più critico di questa ricerca è quello della separazione degli errori di tipo strutturale dovuti alla instabilità, dagli altri errori che più generica mentre chiamiamo di tipo accidentale legati soprattutto all’effetto istantaneo della variabilità ambientale. Nelle applicazioni pratiche però due sono i casi possibili: le variazioni dovute ad instabilità sono nettamente superiori a quelle accidentali ed allora il separarle è facile; i due tipi di variazione sono dello stesso ordine o poco diversi, ed allora la necessità pratica di una più minuta discriminazione viene a mancare potendosi il complesso delle due variazioni ritenersi di carattere ac cidentale.