Con la Befana è giunto il fatidico telegramma: «La signoria vostra è stata nominata presidente della commissione esaminatrice del concorso a 85 cattedre di topografia per gli Istituti tecnici per geometri, ecc. ecc.» (Chissà mai perchè la burocrazia italiana, non certo telegrafica nel suo linguaggio e nella celerità, usa sempre il telegrafo per queste comunicazioni!).
La prima meditazione di carattere assolutamente generale nasce dalla constatazione del numero veramente notevole, direi eccezionale, di cattrede messe a concorso. Se si pensa che in Italia, tutta intera, esistono poco più di 200 Istituti Tecnici per Geometri, con una media di tre insegnanti circa ciascuna ed una popolazione studentesca di quasi centomila allievi; se inoltre si tien conto che Il bando non può evidentemente rappresentare che una percentuale, sia pur alta, delle cattedre scoperte, la conclusione è estremamente significativa: l’insegna mento della topografia è affidato nella maggior parte ad incaricati o supplenti e non è un insegnamento che sia solidmente e tradizionalmente fondato su una classe di insegnanti legati alla scuola, classe di insegnanti che tende eviden temente ad esaurirsi anzichè a proliferare.
Quali le cause? scarsità di concorsi? severità di esaminatori?
Queste mie meditazioni ad alta voce non mirano certo a risolvere o puntua lizzare un problema. Sono meditazioni e per ciò stesso fluttuano nel mare vago del sentimento. E’ però certo, a mio avviso, che molti problemi non trovano mai la pratica soluzione nelle deduzioni rigorose, dei logici, ma vengono ad un loro por- | to, sia pure imperfetto, sia pure incompleto, ma più certo e sicuro, se sospinti dal sentimentale desiderio di tutti di porvi un rimedio, anche a costo di un piccolo sacrificio.
Ed è stato, debbo riconoscerlo apertamente, il sentimentale desiderio di non estraniarmi al problema della scuola, di portare il mio parziale obolo di sacrificio, la mia modesta partecipazione consapevole, più che la convinzione di avviare una sia pur minima soluzione, di formulare una sicura diagnosi, di additare metodi e mete, a convincermi ad accettare la presidenza della Commissione cui il tele gramma ministeriale si riferiva.
A chi, compiangendo la «grana» che mi era piombata addosso, mi diceva che potevo rifiutare, io rispondevo, sia pur sottovoce, ricordando i molti che pri ma di me avevano accettato le stesse grane: «Ma se non ci pensiamo noi alla scuola media, a quella che ci fornirà gli allievi di domani, chi ha da pensarci?».
E così giunsi a Roma una mattina e, per la prima volta, varcai la porta del Ministero della Pubblica Istruzione. Un gentilissimo funzionario mi iniziò al mi stero del punteggio. Quanto per la prova scritta, quanto per la grafica, quanto per la prova orale e per la lezione; punteggi per i titoli didattici, punteggi per i titoli accademici, per le abilitazioni conseguite; una alchimia raffinata, che la scia cadere i punti, stilla a stilla, con una parsimonia e con una avveduta pruden za, frutto di un secolo di burocratica pignoleria. Prudenza, parsimonia, pigno leria sancite entro leggi valide nei decenni passati e forse ancor valide per quei concorsi numerosissimi, in cui il nettare dei vincitori di concorso, costituenti l'empireo della graduatoria, viene distillato da un numero molto grande di con correnti, molto più grande di quello dei posti disponibili.
Prudenza, parsimonia, pignoleria totalmente anacronistiche in un concorso a 85 cattedre con 39 concorrenti.
Questo numero così esiguo di concorrenti, per un numero tanto più grande di cattedre esige criteri diversi di valutazione; modalità differenti di giudizio e di comportamento.
E da questo numero nasce perciò la meditazione: «Perchè così pochi concor renti? Come ovviare all’anacronistico dettato burocratico legislativo?» 65
Va subito sottolineato che, se in generale i concorsi per materie tecniche di insegnamento, relativamente al numero di cattedre messe a concorso, sono assai poco frequentati, quelli di topografia soffrono più acutamente di questa crisi, fino alla situazione quasi paradossale di questo concorso.
Perchè l'insegnamento della topografia non è appetito dagli ingegneri, gli unici in possesso di una laurea che dà diritto a partecipare ai concorsi a cattedra?
Non sono certo in grado di dare una risposta definitiva, ma si può tentare di dare una giustificazione tenendo presente le seguenti considerazioni. Innan zitutto che le materie tecniche è tanto più difficile insegnarle quanto meno esse vengono vissute nella pratica. E l'ingegnere oggi si rifiuta di fare il topografo. Diciamolo con parole chiare: la topografia viene generalmente sottovalutata nell’ambito delle attività tecniche moderne. Il rilievo sa di vecchio, di ca tasto, non, « fa fino » insomma, e l'ingegnere si sente quasi sminuito, isolato, se esercita professionalmente una attività che non gli dà lustro.
Non così per la scienza delle costruzioni e le costruzioni in genere.
La topografia è da lasciare ai geometri. Ma chi insegna ai geometri?
E insegnare la topografia non è cosa facile. E’ una tecnica assai complessa alla cui esecuzione concorrono operazioni diversissime, anche nella impostazione. Non sempre è solo intuitiva o solo analitica; il suo procedere è a volte ibrido, fatto di pignoleria e di rigore, frammisto ad approssimazioni grossolane, le une e le altre logicamente ma non sempre semplicemente ed immediatamente compren sibili. Insomma, per insegnare la topografia occorre non solo averla studiata, ma averla capita. E le due cose non è vero che siano la immediata conseguen za l'una dell'altra.
Ma in realtà, gli ingegneri dove hanno studiato la topografia?
Qui il panorama si amplia, per portarci a dare uno sguardo dentro le univer sità, facoltà di ingegneria. Tutti gli ingegneri fanno scienza delle costruzioni, non tutti fanno oggi topografia, solo i civili. Non in tutte le facoltà italiane, poi, vi è una tradizione di insegnamento di tale disciplina da poter garantire un sicuro inquadramento didattico della disciplina stessa. Quindi tutti gli ingegneri posso no concorrere, ma di questi solo pochi hanno veramente studiato la topografia. Come in tutte le cose degli uomini, anche le vicende della scuola sono una con catenata all'altra, la scuola media all'università e questa a quella, con legami così sottili e molteplici che appena uno si addentra in quella selva vi si sente sperduto.
Dunque 39 concorrenti e 85 cattedre.
Quale atteggiamento assumere in tali circostanze, è veramente un caso di co scienza. La legge dell’alambicco non ha qui senso. Tutti i 39, salvo rarissime ec cezioni, già insegnano e continueranno ad insegnare. Le classi ci sono e le cat tedre davanti agli allievi non possono rimanere vuote. Una selezione rigorosa, forse in linea teorica giusta, non mi sembra un rimedio adatto per la scuola media. Non solamente e non totalmente i candidati sono responsabili della loro scarsa preparazione: anche l’università ha molti torti e molte colpe. Innanzitutto quello di aver sempre e volentieri riversato sulla scuola media un disprezzo e un disinteresse superbi. La critica è sempre facile, ma aiutare la scuola media a risollevarsi è assai più difficile; e quanto poco è stato l’aiuto donato alla scuo la media dall'università!
Infierire sui candidati vuol dire a volte seminare entro la scuola media una serie di individui scoraggiati, avviliti, a volte pieni di astio, di rancore contro la vita e la società.
A volte la frustata stimola, ma la maggior parte delle volte uccide.
Un professore avvilito, demoralizzato, acido ed irritato, astioso e vendicativo è più deleterio, nella scuola media, di un professore non troppo preparato cultu ralmente. Aiutare questi individui a sentirsi un po’ più sicuri, a vedere un po’ più 66
rosa negli anni futuri, dare a questi un po’ di fiducia ed avere in essi fiducia, mostrare per la loro opera un profondo rispetto mi sono sembrati atteggiamenti più idonei nelle circostanze caratteristiche di questo concorso, in vista di un mi glioramento possibile nella scuola media.
Chi si sente incerto non ha stimoli per migliorare; un po’ di sicurezza econo- i mica può far risorgere certe sopite cariche morali dell’individuo e da queste può nascere la consapevole determinazione di migliorare la propria cultura. Chi sente che la scuola ha bisogno di lui e sa di essere nella scuola qualcuno, sente nascere un po’ di entusiasmo, di passione, di forza morale per migliorare, nel rispettivo i ambito, la scuola. |
Le riforme di struttura ci vogliono, ma anche un po’ più di entusiasmo morale è necessario per risollevare la scuola.
Gli allievi bevono le nozioni, ma assimilano soprattutto ciò che è veramente vissuto attraverso quello strano catalizzatore che è la passione e l’amore.
Cose da «Cuore» e da ottocento, si dirà. Ma l’uomo è pur sempre un individuo terribilmente sentimentale.
Ecco perciò nascere il suggerimento interiore per il comportamento generale. Che questo esame aiuti quanti più può a sentirsi membri attivi della scuola nella quale sono già e ci restano, che porti ad essi, assieme ad uno stimolo morale, una visione più impegnata, ma perciò anche più serena del proprio compito.
Il diavoletto pessimista però non manca di suggerirmi che molti, giunti in cattedra, sì addormenteranno. Non voglio essere un cieco: negare ciò sarebbe negare a volte l'evidenza. Non sono però dell'idea che i dormienti saranno molti, i più. Stimo ancora validissime nell’individuo le forze autonome, quel con tenuto morale a priori, «categorico», che è il presupposto di ogni individualità.
Queste 39 individualità, con il loro categorico a priori morale, me le sono trovate tutte dinnanzi una mattina di gennaio per il primo esame scritto. Alcuni giovani, alcuni anziani, molti di età media, circa come la mia. Distribuiti entro l’aula G del palazzo dei concorsi; 39 ingegneri distribuiti in ordine sparso su quei tavolinetti orribili, vacillanti, che riempiono le aule del Palazzo.
Perchè tanto squallore?
Un deprimente squallore, ove lo spirito si sente quasi impigliato nelle molte ragnatele che costellano il soffitto. Ed oltre allo squallore dell'ambiente, l’assurdo spiegamento di forze per la sorveglianza. Oltre i tre commissari, altre sette od otto persone per sorvegliare che nessuno copi, che nessuno parli, che nessuno si faccia suggerire. Credo bene che le spese fisse del bilancio assorbano la quasi totalità degli introiti fiscali: 10 persone per sorvegliarne 39!
E le 39 persone, buone buone, la testa sul foglio, hanno altra voglia che comu nicare fra loro. Sì, qualche parola, qualche suggerimento: ma che male c'è! Un suggerimento non risolve un problema e se lo risolve, vuol dire o che è stato male impostato dalla Commissione esaminatrice, o che il candidato, pur preparato, ha avuto bisogno di una spintarella per avviarsi; ed in questo secondo caso il male non è grave, anzi, è salutare. Sempre, nella vita, vagano per l’aria suggerimenti ed indicazioni, ma li colgono e li mettono a frutto solo gli attenti ed i preparati. Gli stessi libri, i manuali, non possono essere considerati un illecito aiuto, perchè saper bene usare dei libri e dei manuali nella tecnica vuol dire già possedere quella tecnica, saper dove mettere le mani e gli occhi, avere conoscenza dei problemi e delle loro soluzioni, anche se la memoria momentaneamente può tradire. È manuali e libri circolavano fra i 39, ma non tutti sapevano approfittarne.
La sfiducia congenita della burocrazia italiana verso i suoi amministrati e verso se stessa giunge a preziosismi veramente stimolanti: stimolanti la voglia di aggirarla, di «farla fessa».
E’ una sfiducia verso il candidato, ma anche verso la commissione. Quasi offen siva. 67
Il giochetto delle buste piccole, delle buste grandi, del numero dei fogli controllati in entrata e in uscita, delle incollature e delle ceralacche è un gioiello dispreco e di inutilità. Forse tutto sembra fatto apposta per mascherare l’intrallazzo,piuttosto che per smascherarlo. Sì, i ladri ci sono anche nei concorsi, tra i concorrenti e nelle commissioni. Ma forse che i ladri temono la notte! no! Temono ilgiorno, la chiarezza. Dietro il paravento di tutte le buste e di tutte le ceralaccheessi si sentono di operare al sicuro.Quanto più è difficile un favoritismo quando tutto si svolge di giorno, all'aperto,di fronte a tutti!Ma citare il pentolino della ceralacca con riscaldamento elettrico. incorporatoe sfera sul fondo conico ad imbuto, per cospargere sulle buste grandi che racchiudono le buste più piccole che racchiudono i compiti, la giusta dose di rossa ceralacca, che spande nell'ambiente tetro profumi di resine ed aromi orientali, è undoveroso riconoscimento all'adeguamento tecnico della nostra burocrazia. Il progresso tecnologico ha varcato le soglie del Palazzo dei Concorsi.Quella stessa ceralacca venne infranta qualche settimana dopo e fu la primaoperazione d'inaugurazione e apertura della seconda fase del concorso: la correzione del compiti.La congenita diffidenza burocratica verso i commissari costringe (in teoria,in pratica poi è ben altra cosa) a correzioni tutte avvolte nel segreto formale, nel.l'isolamento. Successioni ben precise nell'apertura delle buste, rituale complicatonell’attribuzione dei punti. A parte considerazioni ovvié sull’inutilità di certo formalismo, tutto il criterio valutativo, basato su un metodo analitico e non sinteticoera ed è appropriato forse ai concorsi fiume, quelli ove il numero dei candidati soverchia il numero dei posti, come il recente concorso magistrale, ma per i concorsì tecnici, ove i concorrenti sono così esigui, l’esaminatore dovrebbe essereinvitato ad emettere un giudizio complessivo, una valutazione globale, dovrebbeessere messo in guardia dal pericoloso rischio di perdere alla scuola un individuodegno, ma momentaneamente e parzialmente insufficiente. Eliminare dal concorsoquelli che danno risultati mediocri allo scritto non è norma economica oggidì,quando i ruoli sono così scarni, le necessità così urgenti. Ammettere inoltre quasitutti e rimandare poi alla sanzione giudicatrice globale degli orali ha in sè ungrave inconveniente: che il voto allo scritto resta in sè quello monco e scarno datoallora; inalterabile in più e in meno. Non mi si venga a parlare di obbiettivitàrigida del giudizio. Essa, se esiste, vale solo per i casi estremi, ma in quella zonadi indeterminazione che sta tra la sufficienza e l'insufficienza, ogni obbiettività èvana ed illusoria. Un voto incerto può migliorare e rafforzarsi mediante un chiarimento orale; ma può anche precipitare davanti all’ottusità del candidato nelconfronto orale.L'esame è una prova troppo complessa psicologicamente, per poter essere cosìbrutalmente sezionata! Solo una sintesi meditata e consapevole di varie prove puòportare ad un minor numero di errori.Errori che poi, nel mio ottimismo, ritengo sempre a danno dell’esaminato,e quindi anche della scuola.Proprio perchè è un rapporto di persone, di individui, è impossibile condizionarlo preventivamente all’ambiguo rapporto fra tre commissari con la matitarossa e blu in mano, ed un foglio di carta che non sempre sa ben difendere il suo| autore. Il foglio di carta a volte accusa anzichè difendere. E di quante difese abbiabisogno un candidato durante la correzione degli elaborati scritti lo so ben io!Come frenare l’irritazione generale che nasce dal dover affrontare il disordine! come poter far capire ai commissari che l’enunciato del compito così chiaroa chi lo ha formulato contiene molte incertezze interpretative che al candidatofanno schermo alla soluzione! Come difendere dallo scherno dei commissari, l'ingenuo (non so come altro chiamarlo) che dovendo fare (5000) ha lasciato in mezzo68
al foglio dei suoi calcoli questo gioiello di aritmetica: 5000 x 5000 = 0000 0000 0000 25000 25000000
Chi dunque lo difenderà?
Ma bene o male, la stragrande maggioranza dei candidati, assistiti dal loro angelo custode, sono stati ammessi all'orale. Esclusi solo i pochissimi che non erano riusciti, pur con tutti gli aiuti diretti ed indiretti accordati, «a trovare uno spiraglio» (parole testuali di un candidato).
Il giudizio salomonico della Commissione di rimandare alla prova orale ogni più fine discriminazione, aveva anche un preciso esplicito intendimento. Poichè tutti i candidati già insegnavano e sicuramente, stante la necessità della scuola, avrebbero comunque continuato ad insegnare, che almeno trovassero nell’attesa degli orali uno stimolo a studiare, a riprendere in mano i testi universitari e didat tici ed approfondire un poco quella materia che forse da parecchi anni andavano insegnando con distaccata indifferenza, con superficialità, con imprecisione, per non dire farcita di errori grossolani. Da un tale ripasso non poteva sortirne che un bene per la scuola.
E poichè gli scritti avevano lasciato travedere vaste zone incoltivate, piene di ortiche e di erbacce, si è ritenuto necessario, per questa approfondita opera di dissodamento o, almeno, di disboscamento, lasciare ai candidati un intervallo di tempo non indifferente, oltre due mesi. Ingenuità della Commissione, o meglio del suo Presidente, si dirà! E’ un’ingenuità di cui mi sento orgoglioso; non ho paura di «esser fatto fesso» dalle circostanze, naturalmente meno rosee di ogni schema puramente ideale.
Ed in parte, non lo nego, è proprio avvenuto così! Non si è saputo approfit tare del vantaggio offerto dal lungo periodo di incubazione: lo hanno dimostrato gli esami orali, ovvero l’ultimo atto di questo dramma che è il concorso.
I punti assegnati globalmente al colloquio ed alla lezione, trascritti su verbali e schede personali, non rispecchiano fedelmente la realtà. Le condizioni limite di ammissibilità impongono un punteggio minimo tra prove scritte ed orali equi valente a sette decimi. Per tappare i buchi dello scritto, molte volte si è dovuto eccedere nel punteggio dell’orale; e quando si alza il punteggio da una parte, giustizia vuole che lo si alzi per tutti. Qua e là qualche preparazione approfon dita, qualche sprazzo di chiarezza espositiva c'è stato. Non è mai l'intelligenza che fa difetto, qualche volta è l'impegno, la serietà, la coscienza morale che fanno difetto. Quanta superficialità e confusione. Ma poi, soprattutto, quanta ansia, quanta intolleranza psicologica alla situazione dell'esame, quanta fragilità psichica! Quanto è debole l’uomo maturo di fronte a queste prove! Quanto è più spavaldo, coraz zato, sicuro, a confronto, il giovane studente!
Impreparazione in profondità e scarsità di chiarezza espositiva, i difetti più appariscenti. Di chi la colpa? tutta dei candidati? Entro certi limiti sì. La cosciente responsabilità di insegnare, di spiegare, di interrogare, di chiarire, avrebbe neces sariamente dovuto stimolare una più approfondita e sistematica preparazione, non solo in vista di un esame di concorso, ma anche e proprio solo per l’insegna mento in se stesso.
Responsabilità morale! sì, soprattutto. 69
Quella responsabilità cosciente che nasce nell'intimo e che anche in un mondo del benessere deve guidare le azioni degli uomini, soprattutto di coloro che nella scuola operano. Da questa coscienza morale nasce ogni vera riforma, ogni miglio ramento duraturo della scuola. Se non esiste, nessun decreto ministeriale esterno la risveglierà.
Innanzitutto una impreparazione colpevole. Ma a mitigare questa accusa, a difesa dei singoli, ecco manifestarsi Ila consapevolezza del contesto entro il quale i singoli operano e del quale, in parte, tutti siamo responsabili. E’ una correspon sabilità che si allarga a macchia d'olio. Dalle università che preparano male, alla mancanza assoluta di libri di testo a livello universitario che possano veramente servire ad una preparazione chiara e sufficientemente profonda, senza rasentare la pignoleria. Poi tutto il corpo insegnante, che tollera un programma di insegna mento farraginoso, pieno di inutili informazioni e privo di inquadramento di base formativo; e, adeguati al programma, ora minuzioso, ora superficiale, i libri di testo su cui occorre insegnare. Infine, e qui è corresponsabile tutta la società italiana, un avvilente ed evidente dispregio per coloro che lavorano nella scuola e nella scuola media in particolare.
Durante l'interrogazione mi sono trovato spesso in una situazione di incer tezza. Essa nasceva dalla insicurezza esistente nella delimitazione del programma entro il quale mantenere la domanda. Il ministero, nel bando di concorso, si limita a dire che la preparazione deve essere a livello universitario. Termine assai vago, perchè un livello universitario nelle facoltà di ingegneria per l'insegnamento della ‘topografia non esiste. In molte facoltà è assai alto, teorico, in altre è ben più basso, appena appena a livello operativo. Comunque, il ‘corso di topografia, seguito per norma legislativa ora solo dai civili, dovrebbe in un solo anno dare agli inge gneri preparazione di fondo e cultura sufficiente per insegnare topografia per tre anni agli allievi geometri. L’assurdo è evidente.
La conclusione è perciò che non esiste veramente un programma definito per . gli esami di concorso: esso finisce con l’essere alla mercè della commissione che necessariamente fluttua fra il puro e semplice programma di insegnamento degli istituti tecnici ed i più vasti ma meno operativi e pratici programmi universitari.
I candidati hanno in parte avvertito questa incertezza e ne hanno subito le conseguenze. Credo sia indispensabile porvi rimedio stabilendo a priori un pro gramma minimo per i candidati sfrondato fino all’osso di tutte le inutilità teore tiche, storiche, marginali. Un programma che metta in grado di insegnare vera mente quello che serve, di insegnare a misurare bene, ad operare economicamente e celermente, a commisurare strumenti e schemi, allo scopo. Forse solo allora sarà possibile essere più severi e più intransigenti. Questa carenza nei programmi è una delle responsabilità di tutta la società, ma ve n'è un’altra più grave.
La società commerciale in cui viviamo, avvezza al rapido giro del capitale, ignora ancora, poveretta, che il capitale più grosso, il capitale più vero di cia ‘ scuno di noi l'hanno in mano i professori delle medie. Sono i veri banchieri del benessere di domani. Se non disprezziamo i banchieri dell’oggi, quelli che tengono in mano il capitale di oggi, non dobbiamo, a maggior ragione, disprez zare 1 depositari della nostra ricchezza di domani. Sì, è vero, i professori di scuola ‘media non maneggiano soldi, quello che poi resta nelle loro mani è ben poco. Mai però i professori della scuola media sono stati ben pagati. Eppure vi era un tempo in cul erano riveriti e rispettati. i
Non sono un lodatore del tempo che fu. Questo solo pregio non basta a ri scattare un passato pieno di difetti. Tuttavia sono sicuro che anche i professori di oggi andrebbero a scuola con più entusiasmo e con più entusiasmo sopporte rebbero le ristrettezze ed i sacrifici, con più diligenza adempirebbero al loro com pito, con più assiduità si curerebbero dei giovani, con più responsabilità si pre parerebbero alle lezioni, se sentissero di più la dignità della loro opera. Sì, è vero, la coscienza della dignità deve nascere dal di dentro.
Ma se li aiutassimo un po’ anche noi a sentirla, facendogliela vedere nei no 70
stri atti, nei nostri atteggiamenti, nel nostro apprezzamento, non privo a volte di quella: necessaria comprensione umana che aiuta e stimola!
E’ una crisi di dignità quella che travaglia la scuola media; per superare la quale sia dal di dentro sia dal di fuori occorre operare con costanza, con amorosa attenzione, con un po’ di tolleranza ed un po’ di rettitudine.
I trentanove candidati di questo concorso Tab. H II vorrei avessero compreso questo (e non so se il mio atteggiamento sia stato chiaro a sufficienza, spontaneo e sincero), che averli conosciuti è stata un'esperienza istruttiva per me, che ho rispettato in loro l'uomo, anche se non sempre ne ho apprezzato la preparazione tecnica scientifica, che li ritengo depositari di una responsabilità grandissima in nanzitutto verso la propria coscienza morale e poi verso tutti gli altri, che ritengo fa scuola abbia bisogno di loro e della loro opera, opera altamente valida e im portante, che penso essi meritino di ricevere dignità e rispetto e sicurezza, che più valido di qualsiasi pur meditato o longamine giudizio di una commissione, v'è un giudizio più severo personale, rispetto al quale l’alchimia del punteggio dei titoli acquisiti ha assai poco valore.
Questo avrei voluto dire. Ma non sempre si osa fare a voce un. predicozzo di questo genere, faccia a faccia. Si ha sempre paura di cadere nella retorica.
Così, davanti alla carta bianca, in queste meditazioni sincere, anche se un po’ superbe, non divento rosso.
Un po’ superbe lo sono le mie parole: ma l'avere confessato il peccato, spero mi valga una benevola attribuzione, almeno, delle circostanze attenuanti, se non della piena assoluzione. 71