GLI ERRORI DI MISURA

Elena Baj Agnoletto

La conversazione odierna verterà sugli errori di misura. Tutte le misure, anche se eseguite con la massima cura, sono affette da errori, di questi errori noi cercheremo di esaminare le cause ed il comportamento.

Poiché le misure si effettuano per mezzo di appositi strumenti, premette. qualche osservazione su di essi ricercando nell’apparente molteplicità, gli ele menti comuni.

Prefissato lo scopo dello strumento, cioé le classi di grandezza che esso deve misurare (angoli, distanze), occorre studiarne lo schema essenziale: cioé considerare le varie parti di cui si compone e come sono collegate, accertare le leggi fisiche che interverranno, stabilire le modalità operative.

Consideriamo dapprima uno strumento molto semplice di misura di lun ghezza: una riga graduata. Vogliamo misurare la lunghezza di un segmento. La misura x del segmento ci sarà data dalla lettura della scala in corrispon denza dell'estremo del segmento quando l’altro estremo del segmento viene ac costato allo zero della scala stessa. Possiamo scrivere:

Xx = £ (1) cioé la misura x è funzione solamente della lettura l, che deve essere deter minata all'atto della misura. Questa lettura è una grandezza che diremo deter minante.

Così operando abbiamo però trascurato un fattore che certamente influen zerà la precisione della misura stessa, cioò la temperatura. Infatti la lunghez za della riga sarà stata determinata ad una temperatura t con una operazione di taratura.

Supponiamo ora che la temperatura t fosse di zero gradi; a temperatura t; la lunghezza della riga sarà lt =b(1+ta ti) = b+tboa, ti dove a, è il coefficiente di dilatazione lineare del materiale di cui è fatta la riga e lb la lunghezza della riga a zero gradi. Se vogliamo quindi tener conto della temperatura, la misura del segmento sarà funzione non solo di l, ma anche del valore di t,, che deve essere determinato al momento della misura, di « e di lb; pertanto x = f (Li t; «; b). La funzione si complica.

Se vogliamo poi la lunghezza del segmento a temperatura t,# t,, dovremo tener conto del coefficiente di dilatazione lineare del materiale di cul è costi tuito il segmento. Avremo così: x = f (1 ì T, Li da L).

La grandezza t. è anch’essa una grandezza determinante che deve essere accertata all'atto della misura: varia al variare delle condizioni in cuì si opera, dipende da circostanze esterne allo strumento. Indicheremo genericamente con Xi, Xa, .. Xn queste grandezze determinanti.

Indicheremo con P., P., ecc. ie grandezze del tipo l, «, cioé quei parametri presenti nella funzione che sono coefficienti di proporzionalità, grandezze fi siche di riferimento: questi parametri sono inerenti allo strumento e non dipen dono dalle condizioni operative strumentali.

Se questi parametri P sono ignoti, la funzione è indeterminata: dobbiamo dl




perciò sempre determinarli mediante l'operazione che è detta « taratura ». Nell'esempio fatto prima, se non conosciamo a. ed lL non possiamo arrivare allamisura x, perché x è funzione anche di questi parametri.Consideriamo ora strumenti più complessi: nello schema sono presentideterminate grandezze fisiche che indicheremo con G genericamente; queste grandezze devono avere un valore prestabilito che deriva dallo schema logico secondo il quale è stato progettato lo strumento. Ad esempio nel tacheometrouna di queste grandezze G è l'angolo di 90° tra l’asse di rotazione dell’alidada e l’asse secondario; un’altra grandezza G è l'angolo di 90° tra l’asse secondario e l’asse di collimazione; nel livello grandezza G è il parallelismotra la tangente centrale e l'asse di collimazione.Lo strumento è rettificato quando sono state ottenute tutte le condizioni diprogetto.Considerate queste grandezze G, la misura x della grandezza X sarà:x = f (XK. XK 0 Xi P., P. see P. Gi Gy se Gu).Consideriamo ad -esempio lo strumento livello-stadia (livello in A, stadiain B); avete visto nella lezione precedente che il livello è l’organo di confrontoe che la stadia è l'organo che fa la somma. Ora questa somma, e cioé lalettura alla stadia in B, resa la tangente centrale orizzontale, dipenderà dallagrandezza G, parallelismo tra asse di collimazione e tangente centrale: se cioéla tangente centrale e l’asse di collimazione saranno paralleli, tale lettura avràun certo valore; se l’asse di collimazione sarà inclinato rispetto alla tangentela lettura avrà un valore diverso. Potremo perciò dire che la lettura dipendeanche da G.Talvolta nello schema sono presenti delle grandezze fisiche C, ... C, senzache lo schema ne imponga il valore: esse però devono rimanere costantinel tempo.Ora dallo schema dello strumento bisogna passare alla sua realizzazionepratica. Chiameremo elementi dello schema le parti semplici che lo compongono: ad esempio nel tacheometro la lente oculare, la lente obbiettivo, il reticolo, l’asse secondario e l’asse di rotazione dell’alidada; chiameremo organidello schema l'insieme di più elementi collegati tra loro secondo un ordineprefissato, cosicché abbiano a formare una parte organica dello strumentocon un preciso compito funzionale; organo dello strumento è ad esempio ilcannocchiale, che risulta dal collegamento oculare-reticolo-obbiettivo.Il collegamento di più organi permette poi di raggiungere lo scopo finale,cioé la funzione dello schema, la misura di una certa classe di grandezze. La funzione ad esempio, del tacheometro è di misurare angoli orizzontali e distanze zenitali. : )Nello strumento non sarà possibile realizzare gli elementi e gli organidello schema in maniera perfetta; potremo solo avvicinarci sempre piùalle condizioni teoriche o con una serie di successive operazioni o con artifiziad arte. Un obbiettivo, ad esempio, dovrebbe darci come immagine di unpunto un punto; ma questa condizione non si può raggiungere perché è assolutamente impossibile avere un obbiettivo privo di aberrazioni; con opportuni accorgimenti possiamo però limitarne l’entità.Talvolta, seguendo il progresso della tecnica, potremo avvicinarci alle condizioni teoriche ,cercando di realizzare diversamente l'elemento in questione.Abbiamo così fatto alcune considerazioni sugli strumenti di misura. Consideriamo ora le misure che da essi otteniamo, facendo però una premessa:supporremo dapprima lo strumento di misura perfettamente rispondente alloschema. Se non lo fosse esso non misurerebbe più le grandezze che nello schema logico dello strumento costituivano la sua funizone, ma esso strumento nedefinirebbe delle altre e come misuratore di queste potremo ritenerlo perfetto.32




Facciamo quindi questa ipotesi: riteniamo lo strumento perfettamente rispondente allo schema e prescindiamo perciò, per ora, dalla considerazione deglierrori strumentali, cioé da quegli errori che dipendono dalla non rispondenzadello strumento allo schema (*). |Variazioni delle misureRicordiamo prima di tutto che la misura vera è quella che possiede ilrequisito della univocità; questa univocità, però, non si riscontra nella pratica.infatti se uno stesso operatore ripete più volte con lo stesso strumento la misura di una certa grandezza, ottiene una serie di risultati discordanti; ammettiamodi avere misurato un angolo azimutale con un teodolite e di avere ottenuto iseguenti valori, l'angolo si intende misurato sempre nello stesso settore delcerchio graduato: 30° 20’ 30”, 5; 300 20’ 30”, 2; 30° 20’ 30”, 7; questi valori differiscono tra loro. La variazione riguarda solo l'ultima cifra ottenuta dalprocedimento di misura. Se quindi noi tralasciassimo quest'ultima cifra, l’operazione di misura tornerebbe a dare risultati univoci e perciò, per quanto dettoprima, veri. Si può per inciso osservare che, se per i risultati pratici che andiamo perseguendo non ha importanza alcuna trascurare quest'ultima cifra,noi possiamo effettivamente procedere in questo modo, cioé trascurare l’ultimacifra e ritenere tale risultato esatto. Ma non possiamo pensare a questo mododi procedere, cioé alla eliminazione dell’ultima cifra, come ad un metodo generale:con questa soluzione infatti si limiterebbe la precisione della misura, mentre losforzo del tecnico è teso ad ottenere misure di precisione sempre più elevata.La pratica, come abbiamo visto, insegna che ripetute misure con lo stesso strumento danno risultati differenti, sicché dobbiamo cercare di individuarele cause di tali divergenze. nInstabilità dell'ambienteConsideriamo dapprima le misure dirette, ottenute cioé con uno strumento che registra il numero che costituisce la misura stessa.Si presume ‘che questa variabilità sia da attribuire all’instabilità dell’ambiente. se o.

L’ambiente o il campo nel quale avviene la misura possiede proprietà eprerogative non ancora ben conosciute, ma che certamente influenzano la misura;il risultato della misura stessa, quindi, è. anche (funzione dell'ambiente: conambiente intendiamo l’insieme di tutte le proprietà dello stesso che possonointerferire con la misura e influenzarla. Quando diciamo ambiente in cui avvienela misura, comprendiamo anche le proprietà della materia di cui si compongonogli organi dello strumento misuratore e di cui si compone la stessa grandezzamisurata. Questo ambiente potremmo rappresentarlo con un certo numero digrandezze che lo caratterizzano. Di queste grandezze noi non conosciamo nè iltipo, nè l'entità nè il modo in cui interferiscono con la misura che. stiamo facendo. Ci è: solamente noto che l’ambiente non. è stabile e quindi anche la suaazione sull’operazione di misura è variabile. (Possiamo anche considerare lamisura come dotata di una certa. elasticità: elasticità che è funzione delle grandezze che caratterizzano l’ambiente). . -Questa influenza dell'ambiente sulle misure si fa tanto più sentire quantopiù lo strumento si distacca. dallo schema di strumento, semplice di riportodi un campione, di i l SIConstatato che i risultati delle misure differiscono tra loro e non si verifica quella univocità che è un requisito della misura vera, nasce un problemamolto importante ‘e cioè che cosa è la misura vera, se ogni misura, a causa(*) Nella trattazione che segue non si considerano gli errori. personali di .lettura o simili;in quanto si fa l'ipotesi di impiegare strumenti registratori. : . x idI




dell'ambiente instabile, porta a risultati differenti.

La misura vera ha i caratteri dell'univocità, quindi sorge il problema di come passare dalla molteplicità delle misure alla univocità. Per superare que sto ostacolo considereremo come misura vera quella che avremmo fatto in un ambiente tipo caratterizzato da grandezze incognite, ma stabili; quindi ogni mi sura che non avverrà in condizioni di stabilità, nell'ambiente medio, non sarà una misura vera. La definizione data dal professor Cunietti esprime chiara mente questo concetto e quindi ritengo doveroso riportarla qual'è: « misura vera è quella misura che otterremmo ripetendo le misure con quello strumento nell'ambiente stabilizzato sui valori medi delle grandezze caratteristiche in quell’intervallo di spazio e in quel periodo di tempo in cui avvengono le misure ».

Abbiamo detto che l’ambiente è instabile; ad ogni possibile situazione del l’ambiente corrisponderà una misura: avremo così una serie di misure che costituiscono, possiamo dire, impiegando la stessa terminologia usata per la statistica, la popolazione delle misure possibili. Se in un'urna abbiamo 30 pal. line con 30 valori diversi, ad ogni estrazione estrarremo uno di questi 30 valori; così, se immaginiamo di avere in un'urna tanti valori quante sono le misure possibili di una stessa grandezza, ogni estrazione, cioé ogni misura, ci fornirà un valore possibile della misura stessa.

Chiariti così i concetti di misura e di misura vera, possiamo ora introdurre il concetto di errore.

Viene definito errore E la differenza algebrica tra la misura attuale 0,, cioé la estratta a caso dalla popolazione delle misure possibili, e la misura vera corrispondente. Detta X, quest’ultima, si ha: E = 0; - X (dove 0; rappresenta la misura attuale). La misura X, deve essere nota; se non la conosciamo non possiamo parlare di errore.

Misura vera

Abbiamo visto che ogni lettura che non avviene in quelle condizioni am bientali ipotetiche, cioé ambiente stabilizzato sui valori medi delle grandezze, è errata; nasce perciò il problema di trovare la misura vera tra le misure possibili, cioé la misura nelle condizioni ambientali medie.

Esiste la possibilità che la misura vera coincida con la media di tutte le misure possibili. Ammessa questa ipotesi, eseguita una serie di misure, cioé una serie di estrazioni a caso dalla medesima popolazione di misure, è pos sibile, se non raggiungere, almeno avvicinarsi al valore vero; quanto maggiore sarà il numero delle misure eseguite o estratte, tanto più la media 0w di queste misure si avvicinerà al valore X.. Infatti la media aritmetica dei valori estratti, cioé delle misure eseguite, è un valore empirico della media teorica generale della popolazione delle misure possibili e, quindi, della misura vera. Data ad esempio una serie di sei misure di una medesima grandezza, il valore empirico Ou della media teorica sarà dato da un sesto di (01+0.+0;+0,+0;+0;). 11 va lore empirico è tanto più attendibile quanto maggiore è il numero delle misure.

Viene definito scarto la differenza V; = 0; — 0, tra la misura attuale e la media. Dal calcolo delle probabilità potremo anche ricavare il grado di atten dibilità di ogni misura. Se la misura vera coincide con la media di tutte le misure possibili, diremo che gli errori da cui è affetta la misura sono di tipo accidentale.

Può darsi invece che la media delle misure possibili non coincida con la misura vera. Allora non ha scopo l'operazione di ripetere più volte la misura. La media non rappresenta più la misura vera. In tal caso diremo che gli er rori di misura sono di natura sistematica.

Sia E una grandezza da misurare; la misura xx della grandezza sarà fun 34




zione di E e di parametri che indichiamo con u, v, w, z che rappresentano l’ambiente, e con ambiente intendiamo anche la materia dello strumento, come già detto. Potremo perciò scrivere xs = f (E/u, v, ...). Noi però non conosciamo nè la f, nè la grandezza u, v, w... La funzione rappresenta l’azione dell'ambiente sulle operazioni di misura, La misura vera sarà quella che otterremo quando U, Vv, W... saranno stabilizzati sui loro valori medi: X = f (E u,,; Vip Zm)

Vediamo la differenza tra errori accidentali e sistematici. Eseguite più misure, esse saranno affette da errori accidentali se si verificherà che Ia media delle misure che indicherò con M (f) è uguale alla funzione nelle condizioni medie ambientali; indicherò questa funzione nelle condizioni medie ambientali con f m: cioé quando M (f) = fm.

Possiamo ritenere che la relazione si verifichi quando l'instabilità ambien tale è contenuta entro limiti ristretti .L'ambiente cioé è instabile, ma le va riazioni delle grandezze u, v, w sono limitate. Ogni qual volta, invece, le misure sono eseguite in ambiente molto instabile, sarà improbabile che le misure siano affette da errori accidentali. Dovremo quindi cercare di fare le misure in modo che nel periodo in cui si svolgono le stesse, gli scostamenti dei valori dei pa rametri u, v, ... dai valori u_, V, -- siano minimi,

Riassumendo, possiamo concludere che gli errori di misura si dividono. in due grandi categorie: errori accidentali ed errori sistematici. Diremo che le misure sono affette da errori accidentali quando gli scostamenti delle misure di una grandezza dal valore vero si distribuiscono in modo pressoché simmetrico in torno a quel valore. Diremo che le misure sono affette da errori sistematici quando le perturbazioni o l’instabilità dell'ambiente danno luogo ad una serie di misure la cui media non coincide con il valore vero della misura. In questo caso non abbiamo alcun mezzo che ci permetta di ridurre l’influenza degli errori sistematici sui risultati delle misure dirette.

In effetti è impossibile evitare totalmente gli errori sistematici: si potrà sola mente limitare la loro dannosità con una più accurata limitazione della variabilità dell'ambiente. Purtroppo, in molti casi, l’azione di influenza dell'ambiente sulla misura non ha carattere reversibile, ossia l’ambiente induce variazioni perma nenti sulla misura, l'operazione di misura, che abbiamo fatto, lascia una traccia sui risultati successivi. Immaginiamo di ripetere una misura di distanze con un nastro graduato. Se per effetto della tensione, il nastro subisce una defor mazione permanente, siamo nel caso sopraddetto, cioé la misura successiva risentirà della misura precedente. Non avrà più senso ripetere le misure e farne la media. Le misure possibili della grandezza prima di avere eseguito la misura non coincidono più con le misure possibili a misura eseguita. Possiamo cioé considerare due diverse popolazioni di misure possibili; quelle a misura non eseguita e quelle a misura eseguita. Le due popolazioni differiscono come valori della media ed anche come distribuzione dei valori intorno alla media. Media semplice

Facciamo ora un esempio di calcolo di media semplice. Siano date otto misure di un angolo, ottenute per estrazione a caso dalla stessa popolazione di misure possibili e riteniamo tali misure affette da soli errori accidentali. Indichiamo con v le differenze (scarti): vi = 0; — 0 dI




0, misure scarti 0, Vi 0; — 87 ,726 + 0,0066 0, — 87 ,728 + 0,0026 0; — 87 ,726 + 0,0006 0; — 87 ,724 — 0,0014 0; — 87 ,724 — 0,0014 Oi — 87 ,727 + 0,0016 3 v = 0,0002 1 0, + 0... + Oa La media On = ———__ = 878,7254 rappresenta un valore empirico 8 della media teorica, come già detto. Un gruppo di misure saranno maggiori di 0, ed un gruppo minori di On. La somma degli scarti deve essere nulla, infatti Vit vat "e. Vg —_ 00 +00 ceo + O—Om — 0,4+-0.+0; ves +08 60m _ 0 Il valore ottenuto dalla > v (0,0002) è dovuto all’approssimazione dei calcoli. La media ha un'altra proprietà notevole: infatti essa, rispetto ad altri possi bili valori, rende minima la somma dei quadrati degli scarti. Il che significa che se considerassimo gli scarti v, di ogni misura rispetto ad un vaolre 0'n diverso da 0,, la somma dei quadrati delle v’; sarebbe maggiore di quella otte nuta. Un valore empirico dello scarto quadratico medio, cioé un valore medio dello scarto, è dato dall’espressione: Vv? mm??? — n-l 3 essendo n il numero delle misure eseguite. Nel nostro caso, essendo> v°=1988.10-: 1 m’? = 284.10 m” = VV 284.104 = 168,9.10- e prende il nome di errore quadratico medio delle misure eseguite. Lo scarto quadratico medio della media empirica, cioé un valore medio dello scarto tra valore vero e media empirica, è dato dall’espressione: m?? mx ——_. n Nel nostro caso: 284.10-* mu = —— — = 35,55.10+; Mu = 68,0.10- 8 36




Media ponderata

Consideriamo ora tre popolazioni di misure di composizione diversa, ma tutte quante con lo stesso valore medio coincidente con il valore vero della grandezza. Siano dati ad esempio tre valori estratti da 3 diverse popolazioni di misure e di ognuno sia noto lo scarto quadratico medio: 0, = (ABC) = 47,53728 mi = + 0,0015 0° = (ABC), = 4753788 m. = + 0,0025 0; = (ABC) = 47,53658 m: = * 0,0020

Per poter confrontare tra loro le varie misure dovremo rendere tutti uguali i valori degli errori quadratici medi. A tale scopo potremo considerare ogni misure 0, con scarto quadratico medio m;, come media aritmetica di p misure affette da scarto quadratico medio mo. La scelta di my è arbitraria, ma m deve avere lo stesso valore per 0., 0, 0..

Assumiamo mp? = 225. Ricordando la relazione con la quale si passa dallo scarto quadratico medio di una misura allo scarto quadratico della media, avremo:

Do mo Moi mi = —T__ mf = ————_—_ mi = — Pi p2 Db: mo Mo Mo Di = —___—— pa = —__ Da = — mi mi mi

Ricavati i valori di p,, p:, ps possiamo fare ora la media aritmetica nella quale a numeratore compare il 1° valore pi. volte, il 2° valore p. volte ed il 3° valore p: volte, mentre a denominatore il numero delle misure è p; + p.+ ps

Più semplicemente possiamo scrivere: più: + p.0. + p:0: : _____—__——_ = Pi + p: + ps

Questa media si dice « ponderata ».

Gli scostamenti vi = 0 — 0x non sono direttamente confrontabili, perché si riferiscono a misure di diverso errore medio. Occorre ridurli a quel valore Vi, Va, Vs che avrebbero se alle singole osservazioni corrispondesse un uguale errore medio. Per fare ciò dovremo moltiplicarli per dei coefficienti K.,, K., K.. Alle V = Kwv potremo applicare le formule applicate per la media aritmetica e i ragionamenti corrispondenti. Diremo quindi che in corrispondenza del va lore 0y deve essere minima la somma dei quadrati degli scarti, cioé: 3 3 V? = K? v = minima. 1 1 Misure indirette

Consideriamo ora le misure indirette. Il caso più tipico di misura indiretta è quella nella quale entrano in gioco grandezze che vengono determinate all'atto della misura; queste grandezze sono legate tra loro da una relazione analitica che l'operatore conosce; un esempio di misura indiretta è la misura della distanza ad angolo parallattico costante e stadia verticale: abbiamo D = K S cos & dove D, grandezza da misurare, è data in funzione delle misure di K, S ed a.




Sempre possiamo rappresentare queste misure indirette con una relazione del tipo: X = f (X, Xx, Xx.) dove X è la misura della grandezza che dobbiamo de terminare e Xx, Xx, X sono le misure delle grandezze determinanti. Queste grandezze X, X. ... possono essere dello stesso tipo della X o di tipo diverso. Se ora nella funzione introduciamo i valori di X, X, X, otterremo il valore vero di X. Ritornando al nostro esempio, se introdurremo il valore vero di K, S ed @, otterremo il valore vero di D. Al variare delle misure Xi, X, X, varierà il valore di X. Se la funzione è di tipo lineare, quando le X,, X., X sono affette da soli errori accidentali, anche la X è affetta da errori accidentali; quando in vece le X.,, X., X, sono affette da errori sistematici, anche la X è affetta da errori sistematici. Se la funzione invece non è di tipo lineare, anche se le quantità X.,, X., X, sono affette da soli errori accidentali, X può essere affetto da errori sistematici. Gli errori di X saranno ancora di tipo accidentale solo se la dispersione delle misure X X. X; è tale che si possano trascurare i quadrati delle loro variazioni. In caso contrario dobbiamo ammettere l’esistenza anche di errori sistematici.

Teoricamente, ad ogni ripetizione di misura, bisognerebbe ripetere le misure di tutte le grandezze che compaiono nella funzione. Spesso avviene che non tutte le erandezze vengano misurate al momento della misura; e il valore ottenuto una volta di una certa grandezza si suppone che rimanga costante ed entra in gioco anche in misure successive. Questo è il caso degli strumenti tarati. Entreranno allora in gioco gli errori accidentali e sistematici dovuti alla insta bilità delle costanti e gli errori accidentali e sistematici dovuti all’operazione di taratura.

Errori strumentali

Avevamo supposto lo strumento perfettamente rispondente allo schema: in realtà la perfetta rispondenza non può sussistere. Dalla non rispondenza trag gono origine gli errori strumentali.

Consideriamo dapprima gli errori strumentali di srettifica. Abbiamo visto che nello schema entrano delie grandezze fisiche G,, G,, ecc. che devono avere un determinato valore atfinché lo strumento possa compiere la sua funzione.

Abbiamo già detto che l'operazione che ha lo scopo di far sì che le G,, G., ecc. abbiano quel determinato valore prende il nome di rettifica dello strumento. Se le G, G., ecc. non hanno quel determinato valore lo strumento è srettifica to e ciò comporterà errori nelle misure.

Consideriamo lo schema di un livello moderno con vite di elevazione; l’asse di collimazione deve essere parallelo alla tangente centrale e la tangente centrale deve essere orizzontale.

Il livello si dirà rettificato quando saranno realizzate queste condizioni. Il livello potrà allora compiere la sua funzione, che è quella di dare visuali orizzontali. Il livello non sia rettificato: ad esempio l’asse di collimazione abbia una inclinazione + rispetto alla tangente centrale supposta orizzontale: allora le letture ad una stadia posta a distanza D dal livello saranno affette da un errore $ = D . era4, Ripetendo la lettura, sempre comparirà lo stesso errore e con lo stesso segno. In questo caso non è di alcuna utilità fare la media delle letture: siamo in preesnza di errori sistematici.

Consideriamo ora un tacheometro: noi sappiamo che, nello schema, l’as se di rotazione dell’alidada deve essere verticale; l’asse secondario normale all'asse di rotazione dell'alidada; l’asse di collimazione normale al primo; tra lascio altre condizioni di rettifica e considero queste: se esse sono soddisfatte, lo strumento è rettificato e potrà compiere la sua funzione, ad esempio misu rare un angolo azimutale. Diversamente, la misura di un angolo azimutale, se non ricorreremo a speciali accorgimenti, sarà affetta da un errore funzione 3$




delle varie srettifiche. Ripetendo la misura, comparirà sempre lo stesso errore in valore assoluto e in segno. Come nel caso precedentemente considerato, siamo in presenza di errori sistematici.

Controllo dello strumento

L'operatore, qualunque sia lo strumento che ha a disposizione, dovrà sem pre periodicamente controllarne lo stato di rettifica. Qualora l’esito del controllo non fosse favorevole, lo strumento dovrà essere revisionato.

I metodi di verifica dello stato di rettifica di uno strumento presentano non poche difficoltà: essi possono dividersi in metodi diretti ed indiretti.

I metodi diretti sono quelli che permettono di determinare l’errore di rettifica misurando direttamente le grandezze fisiche, che abbiamo indicato con G, che legano gli elementi di un organo dello strumento, e questo senza al terare la funzionalità dello strumento stesso. In genere questo è possibile in strumenti semplici.

Con i metodi indiretti, invece, si deduce lo stato di rettifica indirettamente. Si fa cioé un'operazione di misura di una grandezza e la si confronta con il suo valore vero che deve perciò essere noto. La scelta del tipo di misura deve essere accurata. Occorre infatti trovare un tipo di operazione o di misura che risenta in maniera preponderante della condizione che vogliamo controllare e non risenta delle altre condizioni.

E' anche importante notare che la verifica di uno strumento deve essere fatta in tutto il campo di misura dello stesso e non in una sua sola parte.

Può succedere infatti che due srettifiche si compensino in una data porzione del campo di misura e questo potrebbe condurre a conclusioni errate.

Sono inoltre da temere per lo strumento gli effetti dinamici. Le grandezze G di legame geometrico, quando gli organi vengono assoggettati ad azioni dina miche, si alterano.

Rettifica delle misure

Abbiamo detto che le condizioni di rettifica, anche procedendo con la mas sima cura, saranno sempre realizzate in modo imperfetto. Bisognerà quindi cercare di operare in modo tale da eliminare l'influenza degli errori di srettifica residui nella misura. Ad esempio, applicando la regola di Bessel e cioé misu rando gli angoli azimutali con cerchio verticale a destra e cerchio verticale a sinistra (posizioni coniugate) e facendo la media dei valori ottenuti, sì eli. mina l'influenza della srettifica relativa all'asse secondario ed all'asse di colli mazione (e di altri errori). Infatti le due misure angolari sono affette da er rore uguale in valore assoluto, ma di segno contrario e perciò facendo le medie tali errori sì compensano.

Analogamente, con una livellazione geometrica dal mezzo con livello mo derno munito di vite di elevazione, si elimina, nel dislivello, l’influenza del non parallelismo tra tangente centrale ed asse di collimazione (e di altri errori). Infatti, Ie due misure L’ ed L” sono affette da errori uguali in valore assoluto e segno: il dislivello A = L’ — L” non risente perciò di tale errore.

In tal modo non si opera sullo strumento, ma sulle misure.

Questo metodo porta a buoni risultati. Non si può applicare però, in tutti i casi ed inoltre richiede che le condizioni di rettifica siano già approssimativa mente realizzate.

Strumenti tarati Consideriamo ora molto brevemente gli strumenti che hanno subito una ta 39




ratura iniziale e i conseguenti errori.

Consideriamo un tipo comunissimo di strumento tarato, cioé quello nel quale, introdotta la grandezza da misurare, la misura è dedotta dallo sposta mento di un indice su una scala. In genere, il legame fra la lettura dell’indice della scala e la grandezza misurata è noto a priori. L'operazione che serve a determinare questo legame è quella chiamata di taratura. Tarato lo strumento, l'operazione globale di misura si compone della lettura attuale e di quella precedente di taratura. Nella pratica gli errori di taratura vengono sempre con siderati sistematici, ma tale qualifica è discutibile. Gli errori di taratura pos sono essere sistematici o no. Meglio dire che la taratura iniziale crea una cor relazione tra tutte le misure eseguite con quello strumento. Inoltre l'errore non sarà costante in tutto il campo di taratura: ma presenterà dei minimi e dei massimi.

Si sono così prese in esame alcune cause di errore; il campo di osservazione è tanto vasto e i nostri mezzi così limitati, che è impossibile pensare di avere esaurito il tema che ci eravamo proposto.

Il tema però è allettante e chi lo affronti con metodo e prudenza potrà ottenere risultati certamente notevoli.

Su questo argomento il prof. Cunietti disse, con un bisticcio che è solo di parole, non di contenuto: « parlando degli errori bisogna essere molto precisi ». BIBLIOGRAFIA — M. CUNIETTI: Corso Teorico e Pratico sulle Misure - Cortina, Milano, 1964. — M. CUNIETTI: Sulla rettifica degli strumenti di misura - Estratto dal n. 2, 1964 del Bol Jettino della S.I.F.E.T. — M. CUNIETTI: Gli errori di misura - Estratto dai « Rendiconti dei Seminario Matematico e Fisico di Milano », vol. XXXII - Libreria Editrice Politecnica Tamburini, Milano, 1962. 40