CHE COS'È LA FOTOGRAMMETRIA (*)

dott. ing. R. Galetto

Istituto di Geodesia, Topografia e Fotogrammetria del Politecnico di Milano Premessa |

Questa nota non vuole essere una esposizione completa ed esauriente del problema della fotogrammetria, inteso come l'insieme dei principi teorici che ne sono alla base e delle tecniche con le quali essi vengono applicati nella pratica operativa. Il suo scopo è quello di proporre all'attenzione degli studenti i princìpi elementari che stanno alla base della fotogrammetria e descrivere una delle tante forme in cui questi principi possono estrinsecarsi. Ho cercato di essere chiaro e comprensibile a tutti, usando un linguaggio che, per chi già conosce la materia, potrebbe parere troppo elementare.

Mi scuso per le eventuali inesattezze in cui posso essere incorso per la ricerca della semplicità, sperando che la maggior parte dei lettori possa trarre da quanto segue, qualche profitto. ] 1- Informazioni preliminari sul problema della fotogrammetria

Dovendo dare una definizione della fotogrammetria, si potrebbe dire che essa è quella tecnica che ci permette di rappresentare graficamente, in una scala voluta, la forma di un oggetto, di cui si abbiano due fotografie, prese da punti diversi, ma di posizione nota rispetto ad esso. Ho detto in via generale oggetto, poiché qualsiasi cosa può essere rappresentata graficamente per mezzo della fotogramme tria; tuttavia, poiché nella nostra qualità di topografi, ciò che maggiormente ci interessa è la rappresentazione del terreno (inteso come superficie terrestre), ad esso d'ora in poi ci riferiremo. Inoltre, uniformandoci alla terminologia della fotogrammetria, chiameremo col nome di fotogrammi le lastre (o le porzioni di pellicola) (1) che vengono impressionate nella macchina da presa, ad ogni scatto di otturatore.

La fotogrammetria si divide in due rami che si differenziano in modo sostan ziale: la fotogrammetria terrestre e la fotogrammetria aerea. Nella prima i fotogrammi sono ottenuti da un operatore che si muove sul terreno, mediante uno strumento che si chiama fototeodolite (il quale è appunto formato dall'unione di un teodolite e di una macchina fotografica), retto da un apposito treppiede. Nella seconda i fotogrammi sono ottenuti da una macchina fotografica sistemata in maniera opportuna su un aeroplano.

La fotogrammetria terrestre viene oggi usata solo per scopi particolari; quella che viene più comunemente usata, in proporzione senza confronto maggiore, è la fotogrammetria aerea. Pertanto, in conformità con le premesse fatte, prenderemo in considerazione solo quest’ultima.

Per fare della fotogrammetria aerea occorre (in linea di massima): — un aeroplano; esso deve avere le seguenti caratteristiche: bassa velocità, buona stabilità, consentire una visione completa del terreno sorvolato ad un operatore che dirige la direzione del velivolo a vista (cioè riferendosi alle caratteristiche (*) Le illustrazioni delle figure 4 e 5 sono tratte dal manuale OMI per l’uso del fotocartografo

Nistri Mod. VI. (1) Le macchine da presa per la fotogrammetria possono essere a lastre o a pellicola; dal negativo si ricava poi un positivo, il quale ha sempre come supporto una lastra di vetro. Benché le camere a lastre siano ormai oggi molto meno usate di quelle a pellicola, nel seguito di questa lezione supporremo che la camera da presa sia una camera a lastre; questa scelta è dovuta unicamente alla speranza di ottenere una maggiore chiarezza nell’esposizione. 23




naturali o artificiali del terreno); — una camera da presa; (per le caratteristiche tecniche delle camere da presa si veda in [1]); — l'apparecchio restitutore; esso è l'apparecchio per mezzo del quale si passa dai due fotogrammi relativi a una stessa zona di terreno, alla rappresentazione del terreno sulla carta.

Abbiamo rimandato, per quanto riguarda le caratteristiche tecniche delle camere da presa alla nota del prof. Bernini; tuttavia occorre qui illustrare quelle che sono le caratteristiche metriche di una camera da presa. Intendiamo per caratteristiche metriche, quei parametri, noti i quali, è possibile, data una camera da presa, costruirne una seconda tale che i fotogrammi di uno stesso oggetto, presi da una stessa posizione, con le due camere risultino identici, dal punto di vista geometrico. La camera (o macchina) fotogrammetrica da presa, è essen zialmente costituita da un telaio metallico avente la forma di un tronco di piramide a base quadrata, privo delle due basi; in corrispondenza della base minore del tronco di piramide si trova l'obbiettivo, mentre su un sottile bordo che corona il perimetro della base maggiore, si appoggia la lastra con l’'emulsione sensibile verso il basso. Il bordo suddetto (vedi fig. 1a), porta in quattro punti diametral mente opposti, quattro piccoli fori, detti marche di riferimento o semplicemente marche. Congiungendo con due segmenti ideali le marche tra loro opposte, si individua un punto (Q in figura), che si chiama punto principale della camera da presa; le marche vengono incise sul bordo della camera in posizione tale che il punto Q si trovi sull'asse ottico dell’obbiettivo. È opportuno a questo punto aprire una parentesi per chiarire alcune cose riguardo all’obbiettivo della camera lastra

A " | i p__— d piano focale ti si TN i; KH ì no Ng ni N i i a ' | 9 di secondo punto nodale ti bu NN i

I marche o

FIG. 1Db

FIG. 1a da presa. L'obbiettivo di una camera da presa (vedi fig. 1b), è costituito da un insieme di lenti piuttosto complesso; la complessità dell’obbiettivo è dovuta all’esi genza di ottenere sulla lastra un'immagine del terreno priva di distorsioni e aberrazioni; noi supporremo nel seguito che l'obbiettivo della camera da presa sia veramente tale da non produrre alcun tipo di defomazione nell'immagine del i terreno impressionata sui fotogrammi. Le varie lenti che fanno parte dell’obbiet tivo, sono delimitate da sezioni di superfici sferiche, cioè da calotte sferiche; Ie lenti che compongono l'obbiettivo vengono fissate tra di loro in modo che 1 centri delle superfici sferiche che le delimitano, risultino tutti allineati su una stessa retta, che prende il nome di asse ottico dell’obbiettivo. Consideriamo ora un fascio di raggi paralleli che investe da una parte l'obbiettivo; i raggi uscenti 24




dall'altra parte dell’obbiettivo convergono tutti in un punto T; facciamo passare per questo punto un piano perpendicolare all’asse ottico, detto piano focale; il punto di intersezione F' del piano coll’asse ottico si chiama secondo punto focale dell’obbiettivo (o semplicemente secondo fuoco). Chiamiamo «a l'inclinazione del fascio di raggi paralleli rispetto all'asse ottico; e sia d la distanza del punto T dall’asse ottico. Si chiama distanza focale f dell’obbiettivo il prodotto d=f. tana

Tale prodotto è costante per qualsiasi valore dell'angolo «, cioè la distanza focale è un parametro caratteristico di ciascun obbiettivo. Stacchiamo ora sull’asse ottico dal punto F” verso l'obbiettivo un segmento pari ad f; l'estremo di tale segmento individua sull’asse ottico un punto N, che si chiama secondo punto nodale dell’obbiettivo. In una camera fotogrammetrica si chiama distanza princi pale la distanza tra il secondo punto nodale ed il piano dell'emulsione sensibile del fotogramma.

Soffermiamoci ora un momento su questo fatto: nelle prese di fotogrammi per scopi fotogrammetrici la quota di volo dell'aereo non è mai inferiore agli 800 m [1]; il terreno si trova pertanto rispetto alla camera da presa a distanza iperfocale, cioè ad una distanza che è dell'ordine delle centinaia di volte maggiore della distanza focale dell’obbiettivo. In questo caso il fascio di raggi proveniente da un punto che colpisce l’obbiettivo, può essere considerato come un fascio di raggi paralleli; pertanto le immagini dei punti del terreno vanno tutte a formarsi nel piano focale dell’obbiettivo; se vogliamo perciò che le immagini del punto del terreno si formino a fuoco sul piano dell’emulsione sensibile, occorre far coin cidere quest’ultimo col piano focale; il che equivale a dire che in una camera fotogrammetrica da presa la distanza principale coincide con la distanza focale.

Notiamo infine un'ultima cosa: nelle costruzioni geometriche che si renderanno in seguito necessarie, sarà comodo schematizzare il fascio di raggi paralleli pro venienti da uno stesso punto, con la retta che costituisce l’asse del fascio; in tal caso se consideriamo un numero discreto dei punti A,, A.... A, del terreno, le rette che costituiscono gli assi dei fascetti di raggi ci appare come una stella di raggi (fig. 2); questa stella di raggi che chiamiamo « raggi oggetto » ha per centro

An Ai Ai . secondo punto nedaie bt primo punto nodaie ZAN Ne, IA fe ON 1 \ A | n ! di An FI6.2 un punto, che è il primo punto nodale dell’obbiettivo; per quanto precedentemente detto a questo fascio di raggi ne corrisponde un altro, quello dei raggi immagine, all'interno della camera da presa, che ha per sostegno il secondo punto nodale 29




dell’obbiettivo. È importante ricordare che, poiché abbiamo supposto l'obbiettivo esente da distorsioni, i due fasci sono uguali, nel senso che l'angolo formato da due raggi oggetto, è uguale all'angolo formato dai corrispondenti raggi immagine. 2- Il principio della presa fotogrammetrica Vediamo ora quale è lo schema della fotogrammetria aerea; riferiamoci . alla fig. 3; supponiamo di voler rappresentare sulla carta la porzione di terreno rappresentata in figura. Facciamo a questo punto una ipotesi molto importante: supponiamo cioè che la zona da rilevare sia di dimensioni tali per cui una sua rappresentazione in scala reale, sarebbe data dalla sua proiezione ortogonale Posizione Posizione Posizione } Q' 2 0 / \ y 7] O 05 I I . I Ì TAGII RAI Î ‘ | ZAP I 1 7 / Si SAD I rà n 27) | AAA \ ! ; \ \ È \ ES r, "a Xx \ . \ \ \ È / x CD god b ATTI a TLT neo o" a _- + . Ro ae LEZIONI 701 e (la STEEL NÉ SL 2° a ZE le A or TNA AZZ | / OSO Di o LAZ MAM ite" NOn fl fr VIA Mo SS SR SAI 0° GAP SIL A (7A N AA 7 AA NATI MIA SI / PSN MOON no IP [= NG ZI, 7 RENT) ee eee pi fel d' pf n NG 1) Lt 4 : fe SETE at) ig POSA, ZA 6 INTO 9% fd on Î TA E n O TA E Sdi gf {IT NU Nin 4 | pr i i Ron ZA ASA: GAL ST, fi INTRA / Mit ee Ga va Ò VE A d gt Ai / | e AREA Re gv ANSA SZ NN Yi 1 E MIR N CA AA STR 2° ' PA Nile Pg ZAN pe SZ e ge E E 1 PE PRPZIN LZ SG } / , L., PER e i n fn n pere 30 Na SLM SLY TI po eS3F Spr TI TRAI ED perte = >= ee ZI PTEVAT > ce SIN È 99 i | © ° 9, 7 x -X6 9 ' 2 Fo ,° di F n a . " A n N À > Sio / PV n È vr, e go 7 7 fo = a > go PP I i «> Ds SE VASTA SPAGO i O \\ULO . d 2° 7 > È _2=7 A a, { 1, (© Len .° ne” e el a I Y 7 __---. Le 2° ve” = 7 A ti e e 2° ai Le fe 1 7 i Ve 7 ì Z 2° RTRT 2 2} (0927 I NL, Po 7 === /7 Hi I ‘ _7 4 FIG.3 su un piano orizzontale. Sorvoliamo allora il terreno con un aereo fotogram




metrico munito di camera da presa, ad una altezza che dipenderà dalla scala alla quale si vuole rappresentare il terreno sulla carta [1]. Scattiamo una prima fotografia nella posizione 1; quindi lasciamo trascorrere un po’ di tempo durante | il quale togliamo dalla camera la lastra impressionata in 1 e la sostituiamo con una nuova lastra, e quando l’aereo è nella posizione 2 scattiamo una seconda fotografia. Il segmento b che va dal punto O,, punto in cui si trovava il primo punto nodale dell’obbiettivo al momento del primo scatto, al punto O, punto in cui si trovava il primo punto nodale dell'obbiettivo al momento del secondo scatto, si chiama base di presa o semplicemente base. I punti O, e O. si chiamano i punti di presa.

Immaginiamo ora che anziché avere una sola camera che ha assunto suc cessivamente le posizioni 1 e 2, se ne abbiano, due ferme nello spazio, in quelle posizioni; vediamo allora cosa è successo al momento in cui gli otturatori sl sono aperti: ogni punto P del terreno ha originato su ciascuna delle due lastre una sua immagine: P; sulla lastra nella posizione 1 e P. sulla lastra nella posizione 2. P, e P. si dicono punti omologhi, poiché sono le immagini di uno stesso punto e le rette ri e r. che congiungono il punto reale P e le sue immagini P, e P., si chiamano raggi omologhi (2).

Lo stesso avviene per qualsiasi altro punto del terreno nella zona ripresa delle. due diverse posizioni; tale zona si chiama zona di sovrapposizione o di ricoprimento. Constatiamo allora che la superficie del terreno è il luogo dei punti da cui nascono i raggi omologhi che danno origine sui due fotogrammi alle im magini dei punti stessi; e viceversa, se immaginiamo che, ferme restando nello spazio le due lastre impressionate, il terreno scomparisse, potremmo ricostruirne la superficie come intersezione dei raggi omologhi, ottenuti tracciando delle semi rette che partono da punti omologhi e passano per il centro dell’obbiettivo.

Facciamo ora un ulteriore passo avanti. Per comprenderlo meglio aiutiamoci con la fantasia; supponiamo cioè che le due camere siano ferme nello spazio nelle due posizioni 1 e 2, e che dai punti di presa escano, materializzati come raggi luminosi, un certo numero di raggi omologhi (in fig. 3 ne è stata disegnata solo una coppia, quella relativa al punto P, per non pasticciare troppo il disegno). Osserviamo il triangolo O; O, P; immaginiamo di far scorrere la camera da presa di destra, cioè quella che si trova nella posizione 2, lungo la base di presa, verso la camera nella posizione 1. La retta r. traslerà parallelamente a se stessa e il triangolo O, O. P si ridurrà di dimensione mantenendosi uguale nella forma. Lo stesso avviene per tutti i triangoli che si possono considerare, cioè quelli formati da tutte le possibili coppie di raggi omologhi. Ne consegue che per effetto dello scorrimento della camera di sinistra lungo la base di presa si verifica che: — i raggi omologhi continuano ad avere un punto comune di intersezione; — i punti di intersezione dei raggi omologhi non ricostruiscono più la superficie del terreno nella sua dimensione originaria, ma in una scala che dipende in maniera lineare dalla traslazione che la camera di destra ha subito lungo la base di presa (3); — ia posizione angolare dei due fotogrammi rispetto al piano orizzontale non cambia; questo significa che proiettando ortogonalmente su un piano oriz zontale n: parallelo a 1, i punti di intersezione dei raggi omologhi (dopo che abbiamo portato la camera 2 nella posizione 2’), si ottiene una figura del tutto (2) Se volessimo essere esatti dovremmo parlare di due semirette: una che va dal punto P al primo punto nodale e un’altra che va dal secondo punto nodale all’immagine del punto P sulla lastra.

Tuttavia, per i ragionamenti esposti in questo paragrafo, è più semplice (e non è causa d’errore) consi derare i due punti nodali coincidenti tra loro; in tal caso il punto di sostegno dei raggi oggetto è quello di sostegno per i raggi immagine e lo chiameremo nel seguito centro dell’obbiettivo. (3) È opportuno osservare a questo punto che il fatto di aver scelto di traslare Ia camera di destra anziché quella di sinistra è puramente arbitrario; e cioè alle stesse conclusioni si sarebbe arrivati se avessimo scelto di far traslare verso destra la camera nella posizione 1. 27




simile a quella che si otcerrebbe proiettando la superficie del terreno sul piano mi; le due figure stanno però fra loro in un rapporto di scala che è dato diret tamente dal numero di volte che è stata ridotta la base per portare la camera 2 dalla posizione 2 alla posizione 2’.

Volendo pertanto rappresentare su una carta in una determinata scala la parte di terreno relativa ai due fotogrammi, possiamo pensare di procedere nel seguente modo: a) costruire due camere fotografiche che abbiano le stesse caratteristiche metriche di quella con cui è stata fatta la presa, che chiameremo camere di re stituzione; b) metterle su un apposito telaio, vincolandole ad esso in modo che cia scuna possa subire delle piccole traslazioni e delle rotazioni; notiamo per inciso che l'insieme di questo telaio e delle due camere di restituzione formano il grosso di quello che sarà l'apparecchio restitutore; c) inserire i due fotogrammi relativi ad una stessa zona di terreno nelle due camere di restituzione; d) illuminare dall'alto i fotogrammi (che sono delle positive su vetro dei negativi ottenuti mediante la camera da presa), in modo che 1 raggi omologhi | (che sono naturalmente infiniti), vengano materializzati da raggi luminosi; e) realizzare un dispositivo che ci permetta di individuare il punto di inter sezione dei raggi omologhi e di proiettarli su un piano orizzontale, che sarà ma terializzato da un tavolo facente parte del restitutore, sul quale verrà steso il foglio sul quale verrà tracciata la carta; f) far assumere, mediante una opportuna serie di movimenti, alle due ca mere, la stessa posizione rispetto al piano orizzontale su cui viene tracciata la carta, che esse avevano rispetto al piano orizzontale al momento della presa e far sì che la distanza tra i punti di presa delle due camere di restituzione sia ridotta, rispetto alla base di presa, allo stesso rapporto della scala della carta. Se cioè la scala della carta è di 1: 10000, e la base di presa era pari a 4000 m, la base di restituzione, cioè quella realizzata nello strumento restitutore, deve essere pari a 40 cm (4).

Vedremo ora di chiarire come si realizzano in pratica i vari passi elencati ai punti a), ... f). 3 - I vari passi della restituzione fotogrammetrica

Per rendere il discorso che stiamo per fare il più aderente possibile alla realtà, facciamo d'ora in poi riferimento a uno strumento di restituzione reale; abbiamo scelto lo strumento Fotocartografo Nistri mod. VI, comunemente chiamato Pho tomapper. La scelta è dettata dal fatto che colui che scrive trova questo stru mento particolarmente adatto a scopi didattici, a prescindere da quelli che possono essere i suoi impieghi nel campo del lavoro.

La fig. 4 è la fotografia del fotocartografo Nistri; cominciamo intanto col rav visare in esso ie parti delle quali abbiamo già parlato. Vediamo in alto le due camere di restituzione C, e C., sulle quali si sporgono i due proiettori R; ed R., che illuminando le lastre dall'alto danno luogo ai raggi omologhi. Vediamo che le due camere sovrastano un tavolo di marmo orizzontale sul quale verrà steso il foglio sul quale verrà tracciata la carta. Il telaio che sostiene le due camere è (4) Anche se questa nota non può essere estremamente chiara per tutti, non posso far a meno di sottolineare che il ragionamento fatto è valido solo per quel determinato tipo di strumento restitutore che intendo descrivere nel seguito. Ci sono cioè strumenti nei quali la base di restituzione può stare alla base di presa in un rapporto diverso dalla scala della carta. Inoltre il ragionamento su esposto viene fatto generalmente in senso inverso; cioè in funzione della massima o minima grandezza che può assumere la base strumentale dello strumento, o degli strumenti, che la ditta che esegue il rilievo possiede, si stabilisce quale deve essere la base di presa. i 28




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ticale, di conseguenza il fotogramma non è perfettamente orizzontale; inoltre tra lo scatto di due successive fotografie, l'aereo può aver subito una piccola rota zione rispetto, alla direzione di volo. Poiché i fotogrammi devono venir disposti, rispetto al piano su cui viene tracciata la carta, nella stessa posizione che essì avevano rispetto al piano orizzontale al momento della presa, essi, nel restitutore, devono poter assumere posizioni angolari analoghe a quelle dell'aereo quando punta verso terra o verso il cielo (rotazione 9), quando si inclina in modo che un’ala sia più bassa dell’altra (rotazione w) 0, quando ruota in un piano orizzon tale rispetto alla direzione di volo, tra due fotogrammi successivi (rotazione k).

Dopo questo breve sguardo allo strumento restitutore riprendiamo in con, siderazione i vari punti a), ... f), che abbiamo esposto nel precedente paragrafo. Al punto a) si diceva che occorre costruire due camere di restituzione uguali, per quanto riguarda le caratteristiche metriche, a quella da presa. Ciò significa che sul bordo della camera da restituzione, dove si appoggia il fotogramma, devono esserci quattro marche che abbiano, rispetto all'asse ottico dell’obbiettivo la stessa posizione che avevano quelle nella camera da presa rispetto all'asse ottico dell'obbiettivo. Inoltre la distanza dal secondo punto nodale del piano dell’emul sione della lastra positiva che viene messa nella camera di restituzione, deve essere uguale alla distanza principale della camera da presa. Se si mettono le lastre nelle camere da restituzione in modo -che le marche impressionate sui bordi dei fotogrammi coincidano con quelle incise sul bordo del portalastre, quando le lastre vengono illuminate dall’alto dai due proiettori R; e R., dagli obbiettivi escono dai fasci di raggi uguali a quelli che al momento della presa hanno impres sionato la lastra. Gli obbiettivi devono essere naturalmente esenti da distorsioni.

Per quanto riguardo il punto b), e cioè il modo con cui le camere da resti. tuzione vengono fissate sulla parte superiore del telaio, abbiamo già detto all’ini zio del paragrafo; sarà opportuno aggiungere che i movimenti di traslazione e di rotazione di ciascuna camera vengono effettuati dall'operatore mediante oppor tune manopole, delle quali alcune sono visibili nella fig. 5.

I punti c) e d) non richiedono spiegazioni particolari.

Il punto e) è quello che richiede una trattazione più estesa e quindi ad esso dedicheremo tutto il prossimo paragrafo. 4 - L'individuazione dei punti di intersezione dei raggi omologhi

Prima di iniziare a discutere sul problema dell’individuazione dei punti di incontro dei raggi omologhi, occorre fare una ipotesi preliminare. Supporremo cioè che le due camere di restituzione siano disposte nello strumento in modo tale che i fotogrammi abbiano, tra di loro e rispetto al piano orizzontale, la stessa posizione che avevano al momento della presa. Supponiamo cioè che siano già state effettuate le operazioni di cui al punto f), che non abbiamo ancora visto.

Ci poniamo allora davanti allo strumento restitutore e accendiamo i proiettori | che illuminano le due lastre di normale luce bianca; tutto quello che vediamo è che compaiono sul tavolo di marmo delle macchie di chiaroscuro, vediamo cioè sul tavolo presso a poco quel che vedremmo se sovrapponessimo due diapositive in bianco e nero. Non si forma cioè davanti a noi, visibile e tridimensionale, il modello del terreno. Il modello del terreno esiste lì, nello spazio sottostante le camere, ed esiste come intersezione di raggi luminosi; ma noi non siamo in grado di vedere, a occhio nudo, questi punti di intersezione; vediamo solamente due fasci di luce che escono dagli obbiettivi delle camere di restituzione e che in parte si sovrappongono. Per capire il metodo che si usa per superare questa difficoltà, occorre aprire una parentesi e ricordare perché il nostro apparato visivo ci permette di vedere tridimensionalmente ciò che ci circonda.

Supponiamo di guardare un libro appoggiato su un tavolo: guardandolo noi abbiamo la percezione di qualcosa che ha tre dimensioni; in realtà però noi non vediamo il libro in tre dimensioni, ma è il nostro cervello che crea nella nostra dl




mente un'immagine tridimensionale sfruttando le due immagini piane che del libro si sono formate sulla nostra rétina. Le due immagini che si formano sulla DE=Sx

LI 7 \ fgf VA 0 x(É \ in A ì VOL \ \\ \I g \ 0 \ATA a N \ W\ A Ai FIG.65 rétina non sono fra loro uguali (è sufficiente guardare un oggetto, tenendo ferma la testa, prima con un occhio e poi con l’altro per constatarlo), e dalla diffe renza delle due immagini il nostro cervello riesce appunto a ricostruire l’'im magine tridimensionale. Il meccanismo di come ciò realmente avviene non credo che sia completamente noto, tuttavia se ne può dare la seguente interpre tazione: consideriamo (vedi fig. 6) due punti A e B del libro; congiungiamoli con i centri delle pupille dell'osservatore mediante due segmenti; consideriamo ora i due angoli a e è indicati in figura; si dice che questi angoli sono gli angoli sotto cui sono visti i punti A e B da ciascun occhio dell'osservatore. Quando l'osservatore guarda il libro sul tavolo, i vari punti che costituiscono la superficie del libro gli appaiono sotto angoli diversi a seconda che siano visti da un occhio o dall'altro; il nostro cervello confrontando i due angoli che si riferiscono a due stessi punti A e B, posiziona questi ultimi nello spazio. In conclusione possiamo dire che la visione tridimensionale di un oggetto è dovuta al fatto che le infinite coppie di punti della superficie di quell'oggetto vengono viste dai due occhi sotto angoli diversi. Possiamo concludere perciò che noi abbiamo una visione tridimensionale di un oggetto, perché ci perviene da uno stesso punto dello spazio una sua im magine, che è per ciascun occhio diversa. Per vedere tridimensionalmente una zona del modello, occorrerà pertanto che le immagini di quella zona di terreno provenienti dalle due lastre, si formino su uno schermetto posto in corrispondenza della zona di intersezione dei raggi omologhi; e che delle due immagini che si formano su tale schermetto, quella proveniente dalla camera di sinistra pervenga solo al nostro occhio sinistro, mentre quella proveniente dalla camera di destra pervenga solo all'occhio destro. Ciò si ottiene nel seguente modo: mettiamo nei | due proiettori R; e R. due lampadine di colore diverso; ad es. una che dia luce 32




verde nel proiettore di sinistra e una che dia luce rossa nell’altro. Inoltre mettiamoci un paio di occhiali che abbiano la lente sinistra verde e quella destra| rossa. Se ora accendiamo i proiettori avviene quanto segue: poiché il verdee il rosso sono colori complementari (5), l'occhio sinistro vedrà solo i raggi uscentidall’obbiettivo della camera di sinistra e quello di destra vedrà solo quelli provenienti dalla camera di destra. Ma anche con questo accorgimento non vediamo| ancora il modello ottico del terreno materializzarsi davanti a noi; vediamo cioèsul tavolo di marmo due immagini piane del terreno (una verde e l’altra rossa)che si sovrappongono. Ciò è dovuto al fatto che le immagini di una stessa zona| del terreno ci provengono da punti diversi dello spazio. Poniamo allora sul tavoloil carrellino illustrato in fig. 7; esso si appoggia su delle sferette che gli permettonoci i @à@01\0‘0‘0(‘141‘4RhqH4dk%€À4À@6‘c6’. a. ;=>\-=isizizau<[e[([{[iz..I Ubu « - - - {| }/-______r_rrr___ e o == =w[](F]|NÈÈÈ»»»èÈèò@Òò@ÈYòÈòÈYÈ@Y@È@ÈèÈèÈèÈèÈèÈèÈèÈÈèÈèÈÈ>È>ÈÈ;”””--*-\'\-®'O.:'!'®!MNNNNNIlA..TOO!'’®®.—-®*®*®*®@®@=é+=tT=—TTTÉy—«««è<—è--— >ò>»>»>.>>»>>»À>ò»èì)’Ì;Ì;Ni A LL @qQ$JSS S««««««@@a@a _4“/{Î)®' TT @—»e "n sie - °°°di. VV VMVVVCV@V@@A f\::.-__W ___{....ut . tn E ana a ià]i _ OOO O eine sa È _. II_oeweo " >À$. -< «A. free MO...seed. da {È _ùmàaàùàa4a4_ta°ezO“a ba A... .i fsi naFig. 7di scorrere sul tavolo; su di esso è montato, in modo che possa spostarsi inverticale mediante un apposito bottone a vite, un dischetto bianco. Combinando il.movimento traslatorio nel piano del carrello e quello in verticale del dischetto,possiamo portare quest'ultimo in qualsiasi punto della zona sottostante le duecamere. Per andare alla ricerca dei punti di intersezione dei raggi omologhiprocediamo allora così: portiamo il carrellino nella zona del tavolo dove intuiamo| (dalle figure piane del terreno che vediamo sul tavolo) che presso a poco si incon| trano i raggi omologhi della zona del modello ottico che ci interessa; diamo quindial carrello altre piccole traslazioni fino a che sul dischetto bianco del carrellovediamo proiettate, più o meno sfalsate, le due immagini della stessa zona delterreno che ci interessa.Se le due immagini non coincidono, ciò è dovuto al fatto che il dischetto delcarrello si trova o più in alto o più in basso della zona di intersezione dei raggi(5) Il che significa che il vetro di colore verde non lascia passare raggi rossi (e viceversa).nega ii tn neo cilrie crei iodio ion int sorto lario




omologhi (posizione A in fig. 8). Proviamo allora ad alzare un po' il dischetto; se le due immagini si allontanano tra di loro vuol dire che ci stiamo allontanando dalla zona di intersezione dei raggi omologhi e quindi dobbiamo spostare il di schetto verso il basso; se si avvicinano continuiamo invece nello stesso senso. i P 0) 02 M n Pr P Î 2 p" P p” . 2 i Fig. 8 Posizione B coi kh 25 i SO t \ B fl \ P' L /___: Posizione A 4 | Ad un certo momento lo schermetto viene a trovarsi in corrispondenza dei punti di incontro dei raggi omologhi e noi vediamo allora formarsi su di esso l’imma gine tridimensionale del terreno, poiché dallo stesso punto dello spazio ci per vengono due immagini (diverse per ciascun occhio) della stessa zona del terreno. Constatiamo però mes: che se spostiamo un po’ il dischetto verso l'alto 0 verso il basso, l'immagine fridimensionale del terreno permane; non c'è cioè una posizione (in altezza) unica dello schermetto, per_la quale noi riusciamo a vedere_. il modello del térreno in stereoscopia, ma ciò avviene per una certa zona intorno ai punti di intersezione dei raggi omologhi (6). Questo fatto è dovuto al potere di adattamento della nostra vista; e cioè il cervello si sforza, per abitudine, di creare appena può, un'immagine tridimensionale di ciò che vede. Per evitare questo inconveniente, che ci impedirebbe di individuare con sufficiente esattezza in quota il punto di intersezione dei raggi omologhi, e per determinare inoltre la posizione planimetrica del punto stesso, lo schermetto del carrello viene munito di una marca luminosa. Essa viene realizzata praticando un forellino nel centro (6) La zona in cui si ha la visione stereoscopica è schematizzata in fig. 8 dell’area del cerchietto avente centro in P: in proporzione al resto del disegno tale area è più grande di quanto non sia in realtà.




dello schermetto e ponendo al disotto del dischetto, in corrispondenza del forellino una piccola lampadina. In tal modo guardando il dischetto bianco su cui siforma l'immagine tridimensionale del terreno, vedremo su di esso anche unpiccolo puntino luminoso. Tale marca ci è di aiuto nel ritrovare l'esatto puntodi intersezione dei raggi omologhi per il seguente motivo: se noi posizioniamo ildischetto leggermente al disotto del punto di intersezione P (posizione B infig. 8), sul dischetto si formano due immagini P” e P”, di P. I raggi che daO, e O. proiettano sullo schermetto le immagini P”, e P”. di P, si incontranoperò in un punto; allora, poiché le immagini P”; e P”. sono sufficientemente vicinenoi le vediamo fuse e come provenienti dal punto P. Se non ci fosse la marcaluminosa noi non capiremmo però se il punto P sta al di sopra, al di sotto oin corrispondenza del dischetto; la marca luminosa ci appare invece distintamente al di sopra, al di sotto o coincidente col punto P, a seconda della posi.zione di quest’ultimo. Quando perciò vedremo che la marca luminosa coincidecon un punto P del modello ottico che vediamo stereoscopicamente, ciò significache essa sl trova esattamente in corrispondenza dei raggi omologhi relativi alpunto P. Se allora montiamo sul carrellino una matita in asse con la marcaluminosa (fig. 7), e muniamo lo schermetto che raccoglie le immagini del modelloottico di un contatore che ce ne dia la quota rispetto al piano di marmo, abbiamorealizzato un dispositivo che ci permette di:— individuare i punti di intersezione dei raggi omologhi,— riportarli su un piano orizzontale (mediante la matita),— attribuire loro una quota (mediante il contatore di quote dello schermetto);siamo cloè in grado di ricavare una carta dal modello del terreno formato dalleintersezioni dei raggi omologhi ottenuti proiettando dalle due camere di restituzione, i due fotogrammi ottenuti mediante la camera da presa.5 - L'orientamento relativo ed assoluto dei fotogrammi nel restitutore fotogrammetricoPer concludere la lezione ci resta da spiegare il punto f) del paragrafo 2, ecioè dobbiamo vedere come viene risolto il problema di disporre nel restitutorefotogrammetrico i due fotogrammi in modo che:I) tutti i raggi omologhi si intersechino;II) i fotogrammi abbiano, rispetto al piano di restituzione, la stessa posizione cheavevano rispetto al piano orizzontale al momento della presa;III) il modello ottico, costituito dalle intersezioni dei raggi omologhi, risulti nellascala voluta.L'insieme delle operazioni che si compiono per far sì che si verifichi la condizione di cui al punto I), prende il nome di orientamento relativo dei fotogrammi,mentre l'insieme di quelle concernenti il punti II) prende il nome di orientamentoassoluto.Prima di descrivere in dettaglio le operazioni dell’orientamento relativo, dell'orientamento assoluto e di messa in scala del modello, ricordiamo quali e quantisono i gradi di libertà di un corpo nello spazio. Consideriamo un sistema cartesiano (vedi fig. 9), e in esso una camera fotografica nella posizione 1; la camerapuò subire tre traslazioni indipendenti, portandosi successivamente in 2, 3, 4,mantenendosi però sempre parallela al piano x, y e con i lati paralleli agli assi x e y.La camera ha cioè tre possibilità di traslazione, le quali vengono dette indipendenti perché ognuna di esse avviene senza cambiare la posizione della lastrarispetto agli altri due assi. Consideriamo ora la camera nella posizione 4 (fig. 10);essa può ruotare intorno ad un asse parallelo all'asse z e passante per il suocentro (rotazione k); oppure può ruotare intorno ad un asse parallelo all’asse x(rotazione w); ed infine può ruotare intorno ad un parallelo all'asse y (rotazione g).Tali rotazioni sono tra loro indipendenti, cioè ognuna di esse influisce in modocaratteristico sulla posizione della lastra nello spazio e non è possibile, addI




traslazioni e le tre rotazioni che sono state appena esaminate.

Consideriamo ora di avere due camere nel sistema cartesiano di cui sopra (v. fig. 11); per quanto detto la loro posizione nello spazio è definita se sono noti i parametri Xi, Yi, Zi gn wn, ki e a, Ya, Za, 0a wr Ka (7). 2 Z | | VA | D, | by 7 -— uu uu I I Î by | { Ì I Vo | Y 2 —------------7 4 VA do 204) , / / / / 7 X

Oltre a questo modo di definire la posizione delle due camere nello spazio, ce n'è un altro: cioè possiamo dare i sei valori X,, Yi, Z, e 9v Wu k, della ca mera 1 e definire la posizione della camera 2 dandone la posizione rispetto alla camera 1, mediante le quantità: b.= XX b,= Y:- Yi b.= Z—- Zi do = 0: — di = fer — dk=k—kKk

PT 0 pI GU WU; Wi 2 1

In tal modo rimane ugualmente definita la posizione della camera 2 nel sistema cartesiano.

Supponiamo che ci vengano dati i valori Xi, Yi, Z, @u w, Ki e b,, b,, b., dp, dw, dk per ottenere una disposizione della camera come in fig. 11; sarà quindi pi wi = Ki = dp = dwy = dk=0.

Immaginiamo di compiere materialmente l'operazione di posizionare le due camere nel sistema cartesiano. Possiamo procedere nel seguente modo: poniamo la camera 1 in una posizione qualsiasi (fig. 12 a) e sistemiamo la camera 2 rispetto ad essa in base ai valori b., b,, b., do, dw, dk assegnati. Immaginiamo (7) Xx, Y, Z, e X,, Y,, Z, sono le coordinate dei secondi punti nodali degli obbiettivi delle due camere. Inoltre si è supposto, per semplicità di disegno, che sia (pi = Wi=k: = 0 e ugualmente 2 = 2= k2 = 0 37






I DyA D7 2-2 _ 2 l | Dx | I | Za, 1Z9 Yo 1 Î Y | A # ye — 7 / VA 4 4 X Xi Ka FIG.12c pu wr Kn, automaticamente la camera 2 assumerà la posizione X., Y., Z., po > Ka (fig. 12c). Possiamo dire, per analogia alla terminologia fotogrammetrica, che la prima è un'operazione di orientamento relativo (della camera 2 rispetto alla camera l), mentre la seconda è un'operazione di orientamento assoluto (di tutte e due le camere nel sistema x, y, zZ).

Ritorniamo ora alla fotogrammetria e ricordiamo quanto abbiamo detto nel paragrafo 2; in esso abbiamo visto (si veda la fig. 3) che quando la camera 2 trasla lungo la base di presa, i raggi omologhi continuano a intersecarsi, e l’unico effetto di questa traslazione è una variazione di scala del modello del terreno, costituito dall’intersezione dei raggi omologhi. Sfruttando invece uno qualsiasi degli altri cinque gradi di libertà della camera di destra, si ottiene l’effetto di rendere sghembi, cioè senza un punto di contatto, i raggi omologhi. Facendo il ragionamento in senso inverso, possiamo dire che quando mettiamo le due lastre nelle camere da restituzione per far sì che i raggi omologhi si in contrino dobbiamo agire su cinque gradi di libertà della camera di destra; mentre il sesto, cioè la traslazione lungo la base di presa, ci servirà per mettere in scala il modello.

Quando però introduciamo i due fotogrammi nelle camere da restituzione, queste ultime hanno una posizione qualsiasi; pertanto, eseguendo (nel modo che vedremo) l'orientamento relativo, formiamo il modello ottico, ma tale modello non ha rispetto al piano di restituzione la stessa posizione che la superficie del terreno aveva rispetto al piano orizzontale. Le due camere e il modello ottico formato dalle intersezioni dei raggi che escono dai due obbiettivi, forma un tutto unico; dando cioè una rotazione all'insieme delle due camere, si dà un’analoga rotazione al modello ottico senza deformarlo.

Seguendo lo schema delle due camere nel sistema cartesiano che abbiamo 39




prima esaminato, dovremmo allora ruotare l'insieme delle due camere per far sì che il modello ottico si disponga, rispetto al piano di restituzione, nella stessa posizione che la superficie del terreno aveva rispetto al piano orizzontale. Dovremo cioè eseguire l'orientamento assoluto.

Vediamo ora di descrivere in dettaglio le operazioni di orientamento relativo, di orientamento assoluto e di messa in scala del modello. 6 - L'orientamento relativo.

Supponiamo di voler eseguire la restituzione di una coppia di fotogrammi; procediamo nel seguente modo: mettiamo i due fotogrammi nelle camere di restituzione. Le camere saranno in una posizione generica, tale tuttavia che un lato dei fotogrammi risulti pressoché parallelo alla sbarra che sostiene le due camere (vedi fig. 5); tale sbarra risulta in tal modo coincidente, in prima ap prossimazione con la base di presa, e infatti viene detta base di restituzione. Inoltre le due camere avranno gli assi ottici degli obbiettivi presso a poco ver ticali; i fotogrammi risulteranno perciò approssimativamente orizzontali, come lo erano al momento della presa. Disponendo le camere nella maniera appena descritta, si compie in pratica un primo grossolano orientamento relativo e asso luto; durante la presa dei fotogrammi il pilota cerca infatti di volare, per quanto gli è possibile, in linea retta e inoltre cerca di mantenere la rotta in un piano orizzontale. Pertanto la posizione della camera da presa, durante la presa di due fotogrammi successivi, è tale per cui (a meno di piccole deviazioni dovute ad es. a colpi di vento improvvisi) due lati dei fotogrammi risultano paralleli alla direzione di volo, e inoltre i fotogrammi risultano giacenti in un piano orizzontale.

Continuiamo ora le nostre operazioni al restitutore. Accendiamo i due proiet tori e mettiamoci gli appositi occhiali. Osservando le figure del due fotogrammi che si formano sul piano di restituzione ruotiamo la camera da presa di destra mediante gli appositi comandi, fino a che vediamo che le linee diritte (come strade o canali) che vengono proiettate sul tavolo dalle due camere, risultano presso a poco parallele. In questo modo si porta più avanti l'orientamento relativo precedentemente iniziato. Portiamoci poi con lo schermetto munito di marca lu minosa in una della zona del modello che vogliamo restituire, e ripetiamo ancora l'operazione di cui sopra, osservando però le figure proiettate sullo schermetto; dopodiché cerchiamo, abbassando o alzando lo schermetto, di far formare il modello stereoscopico su di esso. Se le operazioni prima fatte sono state abba stanza accurate, vedremo che a un certo momento ci apparirà il modello ste reoscopico del terreno; assisteremo però a uno strano fenomeno, e cioè la marca luminosa ci apparirà sdoppiata, ne vedremo cioè due al posto di quella sola esistente. A che cosa è dovuto questo fatto? La spiegazione è la seguente. Mediante le operazioni preliminari di orientamento relativo che abbiamo compiuto, siamo riusciti a far avvicinare molto i raggi omologhi, ma non siamo riusciti a far sì che essi si intersechino; tuttavia, con uno sforzo che facciamo inconsciamente, noi riusciamo ugualmente a formare l’immagine stereoscopica di quella zona del modello che si proietta sul dischetto, ci creiamo cioè un punto di intersezione fittizio per tutti i raggi omologhi. Ma tale sforzo ha come conseguenza che la marca luminosa, della quale realmente pervengono ai nostri occhi due immagini da uno stesso punto dello spazio, ci appaia sdoppiata. Questo fenomeno è proprio quello che ci permette di eseguire il raffinamento dell'orientamento relativo fino a realizzare l'intersezione dei raggi omologhi. Infatti quando noi vediamo che la marca si sdoppia, muoviamo lo schermetto in altezza fino a che il segmento che congiunge le due immagini della marca luminosa, è perpendicolare alla base di restituzione; in tal modo la distanza tra le due immagini della marca luminosa, coincide con la distanza che ancora separa i due raggi omologhi. Questa distanza tra le due immagini della marca luminosa viene chiamata parallasse trasversale. A questo punto dobbiamo dare dei movimenti ad una delle due camere in modo 40




da annullare la distanza che ancora separa i raggi omologhi; cioè muoviamo una camera fino a che vediamo fondersi in un unico punto luminoso le due immagini della marca, avendo però cura che questi movimenti non distruggano l’immagine stereoscopica del modello.

Lo scopo dell’orientamento relativo è però quello di far sì che fut?ti i raggi omologhi coincidano e non solo quelli di una determinata zona del modello; quindi dopo aver annullato la parallasse in una zona, dobbiamo andare col carrellino in altre zone e annullarvi la parallasse trasversale. Se però eseguissimo l'annullamento della parallasse in zone prese a caso nel modello e sfruttando di volta in volta delle traslazioni e delle rotazioni di una camera senza un criterio prestabilito, ci succederebbe che nel togliere la parallasse in una zona del modello, la faremmo nascere in altre zone nelle quali l'abbiamo precedentemente annul. lata. È stato quindi studiato un particolare modo di procedere nell’eseguire l'orientamento relativo, secondo il quale bisogna annullare la parallasse successi vamente in zone prestabilite del modello e impiegando, in ciascuna di queste zone, un determinato movimento della camera da restituzione.

A questo punto possiamo quindi considerare risolto il problema dell’orienta mento relativo dei fotogrammi, cioè sappiamo come far coincidere i raggi omologhi uscenti dalle due camere da restituzione. 7 - L'orientamento assoluto

Nella esposizione che segue supporremo che il modello, oltre che orientato relativamente sia anche nella scala voluta.

Per eseguire l’orientamento assoluto del modello dobbiamo conoscere le coordinate di almeno tre punti sul terreno. Sul foglio sul quale si disegna la carta, sl traccia una parametratura (fig. 13); in base a tale parametratura si riportano sul foglio, nella scala della carta, i tre punti noti segnandone vicino anche la quota. Una volta eseguito l'orientamento assoluto e messo il foglio sul piano di restituzione, quando portiamo la marca luminosa in coincidenza con uno qualsiasi del tre punti del modello riportati sulla carta, la punta della matita montata sul carrellino, coincide con la traccia del punto sul foglio, e il contatore delle quote dello schermetto segna la quota del punto.

Abbiamo precedentemente detto che i gradi di libertà di un corpo rigido nello spazio sono sei; l'insieme delle due camere e del modello ottico, dopo l’orienta mento relativo, può essere considerato come un corpo rigido e quindi per orientarlo assolutamente dovremo bloccare i suoi sei gradi di libertà. In pratica però noi non diamo tre rotazioni e tre traslazioni all'insieme delle due camere, ma distri buiamo questi movimenti tra l'insieme delle due camere, il foglio su cui si traccia la carta e il contatore delle quote dello schermetto. . .

Procediamo cioè in questo modo: mettiamo un opportuno sistema di ingra naggi nel contatore delle quote dello schermetto, in modo che sia possibile leggere, sul contatore stesso, direttamente le quote reali dei punti (8). Ciò fatto mettiamo il foglio parametrato sul piano di restituzione e disponiamolo, a occhio, in modo che i tre punti su di esso riportati si trovino nelle zone del modello che ad essi corrispondono. Portiamo quindi la marca a coincidere con uno dei punti e, sbloccando gli ingranaggi dal contatore delle quote facciamo in modo che esso segni la quota di quel punto; quindi colleghiamo nuovamente ingranaggi e contatore. Portiamoci allora sugli. altri due punti e verifichiamo se la loro quota risulta quale deve essere. Ciò in genere non sarà verificato e allora agendo opportunamente sulle quattro viti Vi, Va, Va, Vi (vedi fig. 4) diamo delle rotazioni trasversali e delle rotazioni longitudinali al complesso delle due camere e quindi (8) Se cioè Ia scala del modello è di 1:10000, il sistema di ingranaggi sarà tale per cui alzando lo schermetto di i cm, la quota segnata sul contatore verrà incrementata di 100 m. 4]




al modello ottico, fino a che esso si dispone in piano (cioè nella stessa posizione rispetto al piano di restituzione, e che la superficie del terreno aveva rispetto al piano orizzontale). A questo punto abbiamo sfruttato tre gradi di libertà dell’in sieme delle due camere, due direttamente dando la rotazione longitudinale e la rotazione trasversale all'insieme delle due camere e uno indirettamente imponendo la quota sul contatore delle quote dello schermetto. Anche i rimanenti tre gradi di libertà vengono tolti indirettamente; infatti quando il modello è in piano, e poiché abbiamo supposto che esso sia nella scala voluta, ci è possibile, facendo traslare il foglio sul piano di restituzione e facendolo ruotare su detto piano, far coincidere - esattamente la proiezione dei tre punti noti, con la loro traccia sul foglio parametrato. Prima questo non era possibile, perché se il modello non era in piano i segmenti che univano le proiezioni dei punti sul piano di restituzione, risultavano più corti di quelli congiungenti la traccia dei punti sul foglio. Facendo traslare e ruotare il foglio sul piano di restituzione abbiamo sfruttato indirettamente gli ultimi tre gradi di libertà disponibili. Il nostro modello risulta infatti ora orientato assolutamente. Portando quindi la marca luminosa a coincidere con i vari punti del modello ottico, siamo in grado di tracciare la carta della zona di superficie del terreno comune ai due fotogrammi.

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ITI| 2, 8 - La messa in scala del modello Parlando dell’orientamento assoluto abbiamo supposto che il modello fosse già nella scala voluta; vediamo ora come ciò può essere realizzato (9). (9) Nella pratica si segue un procedimenio diverso, tuttavia anche il metodo che viene descritto potrebbe essere usato e ha per noi, in questo momento, il pregio di essere più facile da capire. 42




Si calcola innanzi tutto la distanza reale (non quella topografica) tra due, dei tre punti noti, in base alle loro coordinate; quindi si misura la stessa distanza tra i punti del modello. Per far ciò si porta la marca luminosa in corrispondenza dei due punti noti prescelti e si proiettano tali punti sul piano; dalla distanza tra la proiezione dei punti sul piano e dalla differenza di quota letta sul contatore delle quote, si calcola la distanza tra i punti, nel modello. Facendo il rapporto tra questa distanza e quella reale si ricava la scala del modello; se essa risulta maggiore di quella voluta bisognerà diminuire la distanza tra le due camere di restituzione; perché, come sappiamo, una traslazione di una camera verso l’altra fa rimpicciolire il modello ottico. Viceversa, se la scala risulterà minore, la traslazione delle camere sarà tale da aumentare la base di restituzione. La quantità della quale le camere devono essere allontanate o avvicinate può essere calcolata analiticamente oppure può essere imposta sulla base di restituzione me diante successive approssimazioni. 9 - Commiato

Riallacciandomi a quanto detto nella premessa, ricordo ancora che questa nota è a carattere informativo; il suo scopo è cioè quello di dare una idea di quali siano i principi della fotogrammetria e dei mezzi necessari ed essenziali per applicarla. Ho dovuto più volte venire ad un compromesso tra la necessità di farmi capire in così breve spazio e la vastità della materia da trattare; cosa che ho fatto cercando però di essere sempre rigoroso nelle linee essenziali della trattazione. Mi auguro che l’aver lasciato qua e là dei punti in sospeso non comprometta la comprensibilità di questa nota, ma serva piuttosto d’incentivo ad approfondire l'argomento su testi più completi ed esaurienti. [1] F. Bernini - La presa e l’organizzazione dei voli - Boll. SIFET n. 2/68. 43