LETTERA APERTA ALL’ING. FERNANDO FAGGIOLI SU NUOVI INDIRIZZI DI CARTOGRAFIA



Caro Faggioli, «_’. TPartitolo del 1971 su « Cartografia e planificazione teritroriale », il suò | ’itervento al convegno di Firerize, éd il più recente articolò sul Bòllettino SIFET n. 2 del 1973, mi hanno fatto pensare. Il frutto di queste riflessioni mi sembra giusto esporglielo con questo mezzo pubblico, ma sotto la forma meno aulica e più confidenziale di una lettera. Questa forma mi è anche più congeniale perché permette, a me, che non sono un cartografo, di affron tare i problemi con parole più alla buona e di aver meno paura di dire qual che grossa fesseria, o, come. minimo, qualche ingenuità.

Mi sembra che, in sintesi, il succo dell’articolo del ’71 sia questo: non è oa tanto il cartografo che deve venire incontro al pianificatore per offrirgli il n mezzo più adeguato per il suo lavoro, quanto piuttosto il contrario. E’ il pia nificatore che deve venire in aiuto al cartografo perché il suo prodotto car tografico divenga uno strumento più efficiente per tutti gli utilizzatori; è il pianificatore che, al corrente gella vita che si svolge sul territorio, deve in ‘dicare al cartografo i rapporti dinamici in cui stanno i diversi elementi del territorio fra di loro tramite la comunità che vi risiede; il cartografo poi deve trasformare queste informazioni in segni chiari ed intelligibili, facil- è mente da riprodurre sulla carta. Solo così la carta a qualunque scala, sarà una « carta generle », in quanto non servirà specificatamente a nessuno, ma servirà a tutti come strumento di cultura, di conoscenza completa, di con sapevole partecipazione alle scelte operative che incidono sul territorio e quindi sulla vita sociale.

Nell'articolo del '73, un ampliamento del precedente intervento fatto al convegno, sì spinge ancor più avanti questa ricerca, con una critica al con cetto di « carta generale ». Nell'accezione più comune con il termine « carta generale », s'intende quel supporto cartografico di base che, con la sola de scrizione del territorio nella sua materialità statica, può venire assunto come supporto per tutte le successive rappresentazioni « tematiche » cioè speciali. stiche, di particolari aspetti del territorio stesso. Ma nella realtà (viene sot tolineato nell'articolo) anche la carta generale è una particolare carta tema tica in quanto alla pura descrizione geometrica, si sovrappone sulla carta stessa un contenuto che con la descrizione morfologica, poco o nulla ha a che fare, e che costituisce già un embrione di contenuto tematico. Si descrive già in parte la vita della comunità che sul territorio vive.

Scvvertendo un’altra volta i termini del rapporto, in questo secondo articolo sì viene a dire: la carta generale non sta prima di ogni successiva altra carta tematica, ma deve stare alla fine, come sintesi, della lunga serie delle carte tematiche. La carta generale proprio perché deve essere utilizzata con profitto dal maggior numero di persone, deve riassumere, delle prece . denti carte tematiche, gli elementi più importanti, più vitali in quel mo mento storico, in quella situazione contingente, per la soluzione dei problemi più generali di convivenza delle comunità nel territorio e sul territorio. 5 .




Lei, Faggioli, poi individua, in particolare nelle « comunicazioni », intese in senso lato, il contenuto qualificante di una « carta generale » moderna. Non so se ho interpretato giusto. Non so se ho capito tutto ciò che

Lei intendeva, o se l’ho capito a modo mio forse aggiungendovi anche qual. cosa di personale. Ciò è però inevitabile. Comprendere è anche un po’ ricreare.

Questa apertura nuova, questa inusitata inquadratura del problema car tografico mi ha profondamente colpito e soddisfatto. È’ però una soddisfa zione di carattere culturale che rischia di rimanere inutile se non affronta il concreto.

Ad affrontare questo concreto Lei stesso, caro Faggioli, ci invita con le sue ultime parole. A questo sforzo ho soprattutto dedicato le mie riflessioni.

Non sono approdato molto lontano con questo mio sforzo, anzi, oserei dire che il desiderio di essere quanto più possibile concreto mi ha forte mente condizionato.

Il primo quesito che mi sono posto è il seguente: risponde in parte ai requisiti di una « carta generale », nel senso nuovo da Lei inteso, una orto fotocarta?

Non so neppure io cosa rispondere a questo quesito, eppure mi sembra che non manchino alcuni requisiti positivi in tal senso. Senza nulla togliere al valore metrico del supporto geometrico la ortofotocarta presenta una realtà territoriale molto più complessa, molto più coinvolta con la vita so ciale di quanto non lo sia una carta ove il contenuto, già selezionato, sche matizzato, tradotto in simboli, perde la vivezza dell'ambiente umano. L’im magine fotografica di un territorio ove vive una comunità ne rivela anche molte caratteristiche sociali ed economiche; l'ordine o la disorganizzazione, la povertà o la ricchezza, il pieno sviluppo o l'abbandono. Al limite, e non vorrei essere ridicolo in questa affermazione, una ortofoto-carta, non filtrata, rivela anche parte della dinamica relazionale degli individui di una comunità. Una piazza con tante automobili, indica un quartiere popoloso indaffarato, e così una strada cittadina o di grande comunicazione si rivelerà automati. camente molto trafficata o meno, dal numero di veicoli che la ingombrano. Sono debitore in parte di quest'idea all'amico Prescia di Palermo che già l'ha sfruttata.

Le carte topografiche attuali, indicano le culture, le zone boschive, ma l'aspetto del suolo con il suo stato di degradazione scompare al di sotto del sraficismo. Una ortofotocarta dice molte cose sul terreno, sulle colture, sul boschi, sulle strade, anche al semplice sguardo di un inesperto. Tutti sap piamo più o meno distinguere un terreno in istato di decadimento, tutti sap piano individuare un terreno arido sassoso, oppure fertile, perché già nei nostri occhi queste immagini della realtà sono passate più volte.

Se una cartografia generale deve dire qualcosa a tutti sullo stato del ter reno, sulla comunità che vi vive sopra, in maniera facile, piana, comprensi bile, immediata, completa nel senso umano del termine, allora penso che l’ortofoto-carta possa rispondere allo scopo. Dall’ortofoto-carta si può pren dere più diretta e tangibile coscienza dei problemi, a partire da quelli ap punto del degradamento idrogeologico, a quelli della speculazione edilizia. Un condominio di molti piani, in un paesaggio di abitazioni mono-familiari balza subito agli occhi quando sì guarda una ortofoto-carta, ma si perde nei segni grefici quando il paesaggio è stato schematizzato con linee e tratteggi. La constatazione, porta alla presa di coscienza, la presa di coscienza suscita la corresponsabilità, e questa a sua volta stimola alla partecipazione. 6




Se è questo che si vuole da una « carta generale », essere cioè strumento di cultura e stimolo alla consapevolezza, allora con l’ortofoto-carta potremmo essere sulla strada buona. Penso che gli esempi si possono moltiplicare in questo senso a favore e Lei stesso, può immaginare altri esempi di vantag giosa utilizzazione di una « ortofotocartografia ». Mi scusi l’orrenda parola.

Certo l’ortofoto-carta può servire assai meno per la progettazione. Ma l'uno strumento, la « carta generale », non esclude l’altro, la carta tematica per i progettisti, carta tematica che potrebbe essere anche più utilizzabile delle attuali carte generali che riportano un mucchio di cose che alla pro gettazione non serve.

Naturalmente la fame vien mangiando, caro Faggioli. Su questa stessa linea pensa Lei quanto sarebbe ancor più « Carta generale » nel senso vo luto, una ortofotocarta a colori?

Il contenuto delle informazioni e l'immediatezza con cui tale contenuto può venire acquisito risultano, dal colore, moltiplicati. Queste cose dicono sulla struttura sociale, sulla storia, sull'ambiente, sulla vita in generale, i tetti degli edifici con le loro diverse tonalità di rosso!

Non vorrei quì farmi prendere la mano dal romanticismo bohemien dei tetti di Parigi di pucciniana memoria. Penso però che chiunque abbia avuto sotto mano ed osservato una foto aerea a colori comprenderà quello che voglio intendere quando affermo che una ortofoto-carta a colori può vera mente essere un documento di cultura, quindi una « carta generale », nel senso che Lei ha inteso, caro Faggioli.

Le mie riflessioni si fermano qui.

Questa lettera è già lunga abbastanza. Le sarei grato però se in privato, o su queste stesse pagine, mi rispondesse per sapermi dire innanzitutto cosa ne pensa di ciò che ho capito io dei suoi due articoli e poi se è possibile vedere nell’ortofoto-carta un primo, forse modesto passo, verso una vera « carta generale » del territorio.

Poiché ho avuto la faccia tosta di buttare queste mie riflessioni in pasto a tutti ì lettori del Bollettino, non mi sottraggo certo all'impegno di accet tare osservazioni critiche su questo argomento anche da altri. Anzi ne sarei lieto.

A Lei caro amico, un grazie per aver avviato un discorso che mi sembra importante ed avvincente, e molti auguri perché da queste premesse il suo lavoro di ricerca possa far nascere qualcosa non solo di nuovo, ma soprat tutto di utile.

Con affetto,

Mariano Cunietti Milano, Ottobre 1973




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Un nuovo restitutore analogico di minimo ingombro e peso Attilio Selvini* 1.1 - Introduzione

La nota ed ormai obsoleta classificazione dei restitutori analogici, quella che prevede i tre ordini, è da tempo caduta in disuso. Lo ha recentemente ricordato nel suo rapporto da Ottawa, il Prof. Mariano Cunietti [1]; lo di mostra ora con evidenza il nuovo restitutore presentato dalla Carl Zeiss di Oberkochen alla "Settimana Fotogrammetrica"”, che si è svolta quest'anno per la prima volta a Stoccarda, rompendo la tradizione di Karlsruhe [2]. ._ Con l’arrivo sul mercato di questo strumento, sembrano dover scompa rire definitivamente dalla scena i vecchi apparati cosiddetti del terzo ordine, a soluzione approssimata, quale ad esempio è lo Stereotop. Infatti, contro un ingombro di quest'ultimo di circa 75 x 60x40 cm?, per un peso di circa 40 kg, sta ora il Planitop F 2 che —; pur essendo un restitutore a soluzione. |; rigorosa — ha un ingombro di 92 x 66 x:60. cm’ e pesa incredibilmente solo 56 kg.

Ma vediamo con ordine qual è il motivo che ha spinto la grande Casa tedesca a realizzare un tale strumento. 1.2 - Generalità

Alla base di questa scelta, sta la necessità di poter offrire al mondo della fotogrammetria, una serie il più possibile omogenea e compatta di strumenti « specializzati », ognuno dei quali sia cioè capace di risolvere, col minimo di spesa e di tempo, quindi celermente ed economicamente, uno od alcuni de terminati problemi.

Limitandoci al settore dei restitutori analogici a proiezione meccanica, ricordiamo che la serie venne iniziata col « Planimat D 2» [3], proseguita a breve intervallo di tempo col « Planicart E 2 » [4] ed ora, come sembra, con clusa con questo « Planitop F 2 ».

La derivazione diretta del Planicart, è immediatamente percettibile an che dalla sola visione dei due strumenti, pressocché identici anche nelle di mensioni; per « legare » l’ultimo nato ai primi due, occorre un po’ di sforzo, poiché a prima vista si è tratti in inganno dalle sue estremamente ridotte dimensioni. Eppure, tutti i principi che hanno guidato la costruzione dei due maggiori apparati ([4], pag. 4) sono stati anche in questo caso conservati, ad eccezione di uno: quello cioè delle « bacchette » ad « un sol braccio ». Vale forse la pena di chiarire un momento che cosa si intenda con tale espres sione. Le bacchette spaziali, materializzanti coi loro assi i raggi omologhi, possono avere forma, sezione e distribuzione dei vincoli (cardani) nonché * Carl Zeiss, Oberkochen.




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I principi costruttivi comuni a tutta la serie sono i seguenti: — giacitura delle camere di restituzione (meglio, dei supporti delle lastre) su tre punti; — eccentricità del cardano delle camere e del centro di proiezione, con re lativa alta stabilità e facilità di rettifica dello strumento; — ottica di collimazione fissa e lastra mobile; — tavolo da disegno interno, illuminabile dal basso verso l’alto. o 2:1 - Descrizione del restitutore E |

Le Figg. 2 e 3 mostrano rispettivamente la vista di assieme dello stru mento, nonché il suo schema meccanico ed ottico.

Va subito notato, come per esigenze di trasportabilità (si pensi ad esem pio all'uso del Planitop da parte di imprese stradali o di prospezione petro lifera, operanti in Paesi in via di sviluppo con grandi estensioni territoriali e privi di cartografia) ìil restitutore si possa agevolmente smontare e rimon tare in quattro fasi successive: — sì dispone il telaio portante (struttura tubolare a sezione rettangolare, . saldata) su di un adatto supporto (in figura 2 sì tratta di uno speciale tavolo in laminato plastico, ma potrebbe essere un qualsiasi robusto ta volo da ufficio) e lo si orizzonta; i .. 6 Sì monta il carrello restitutore con le guide relative; Li — ‘ — si montano i supporti delle camere; i l sE —- infine, si montano i supporti dei cardani, le guide dei iporta-lastre, gli il luminatori, le bacchette e l’oculare.

In Fig. 4 si può osservare appunto l'assetto di questi ultimi elementi costruttivi.

Il Planitop è predisposto per due focali: 150-156 mm (grandangolare) ed 84-90 mm (supergrandangolare). Il cambio dei cardani per queste due situa zioni avviene con semplicità e rapidità; osservando la citata Fig. 4 si vede come il cardano corrispondente al centro del fotogramma, sia portato da una mensola a forma di ginocchio, scomponibile in due parti. In figura lo strumento è predisposto per ricevere grandangolari; togliendo la parte verti cale della mensola, si passa alla posizione corrispondente al supergrandan golare. Su richiesta è però possibile avere supporti per focali intermedie.

La Fig. 5 permette di osservare ancor meglio i supporti dei cardani; inol tre sono in essa visibili, appena a lato (esterno) delle mensole, le viti micro metriche per l’imposizione della distanza principale (rispettivamente 153 + 3 mm, oppure 87 + 3 mm) con lettura diretta di 0,01 mm. Si vedano poi anche i comandi per x (lato interno delle lastre) e per w (sotto il telaio, in corrispondenza delle scritte « ZEISS » e « PLANITOP F 2»). I comandi di o si intravvedono appena, ai lati dell’oculare ed in corrispondenza della fes sura esistente fra telaio e supporti delle camere.

La base è provvista delle componenti bx (da 40 a 150 mm, con lettura diretta di 0,01 mm) e bz su entrambi i lati (+ 15 mm). Manca per contro la by, giudicata non necessaria.

Il movimento del carrello restitutore è realizzato con guida libera a mano, sul piano X-Y; tale movimento è frenato per frizione, in funzione della 12




Varie erano le soluzioni che al progettista si prospettavano (Fig. 7); quella prescelta corrisponde ai criteri di maggiore semplicità ed affidabilità. I grafici di Fig. 8, indicano, in funzione delle diverse quote di volo (h [m]}) e delle relative scale medie dei fotogrammi (m;), gli ingrandimenti ottenibili tra fotogramma e modello (segnato con tratto spesso) e fra modello e carta (con tratto sottile). Il grafico di sinistra vale per prese grandangolari (WW = Weit Winkel) mentre l’altro è relativo a quelle supergrandagolari (SWW). I valori grafici indicati dalle terne di segmenti, sono riferiti alle tre scale-mo dello più adatte allo strumento, e cioè 1: 10000, 1: 25000, 1: 50000.

Non manca certo nel :Planitop, la possibilità di digitalizzare il modello; ad esso è infatti applicabile il nuovo generatore lineare di impulsi, già speri mentato su Planimat e Planicart, con capacità risolutiva dello 0,01 mm. Na turalmente è necessario il collegamento, in questo caso, all’Ecomat-11 [5].

Sul carrello del restitutore si possono disporre, in vasta gamma, diversi utensili; in ordine, essi sono: -—— porta-mine — porta-mine sottili (0,3 mm) — penna a sfera — punta ad incidere — rapidograph con inchiostro di China — proiettore EP-2

Tutti questi arnesi sono di serie, essendo già previsti per gli altri due re-. stitutori precedenti. 2.3 - Triangolazione aerea

Il nuovo restitutore permette la triangolazione aerea per modelli indi pendenti; a tale scopo, come nel caso del Pianimat, si determinano le coor dinate X, Y, Z, del centro di proiezione nel sistema-modello, con operazioni strumentali; oppure si ricavano le stesse attraverso un vertice di piramide per il quale si utilizzano 4 marche giacenti sul supporto delle lastre. Data la presenza, se richiesta, del digitalizzatore, si può naturalmente procedere anche per altra via. 3. - Conclusioni

Il nuovo restitutore Zeiss Planitop F 2 completa la serie dei recenti strumenti analogici prodotti dalla Casa di Oberkochen; si hanno così il Pla nimat, strumento di alta precisione destinato sia alla cartografia a grandis sima scala come alla scansione del modello per la memorizzazione dei profili, da utilizzarsi poi « off-line » nel GZ-1 per l’ortofotografia, nonché ad altri scopi particolari (DTM, triangolazione aerea).

Viene poi il Planicart, tipico strumento per la cartografia a grande e media scala, ed infine — al terzo ed ultimo posto — il Planitop.

Si è già detto della sua versatilità per chi avesse necessità cartografiche in uffici... vaganti qua e là; si pensi però anche alla sua utilità per l’istru zione del personale o degli studenti. Ciò è perfettamente giustificato dal basso prezzo {meno di 40.000 DM) e dalle ridotte dimensioni, unite alla eccezio nale facilità di trasporto. 17




E non trascuriamo naturalmente te esigenze di chi, con modica spesa, voglia attrezzarsi per produrre cartografia a scale piccolo-medie; sinora erano disponibili, per analogo prezzo, solo restitutori a proiezione ottica, con i loro indubbi vantaggi didattici ma con la loro altrettanto nota limitazione di impiego. Circa la precisione altimetrica del Planitop F 2, questa può essere indì- cata — dopo le prove eseguite sui reticoli — nello 0,1%, della quota di volo. A titolo di confronto, sì ricorda qui che le corrispondenti precisioni (valori quadratici medi) per Planimat e Planicart valgono rispettivamente 0,047%o e 0,056%. della quota di volo. BIBLIOGRAFIA (1) M. CUNIETTI: Impressioni di un parteciparite sul Congresso della Soc. Ini. di Fo togrammetria - Bollettino SIFET, n. 1/73. | [2} R. SCHWEBEL: The F-2 Planitop topographic plotter, Lecture n. 2, Photog. Woche, Stuttgart, 1973. [3] MO OHREND: Der Planimat, ein neues photogrammetrisches Gerùt 2. Ordnung - uL, n. 5/67. ° {4} R. SCHWEBEL: Planicart E 2- ein neues Stereokartiergeràt- BuL, 1/72. ) [5] R. SCHWEBEL: Nouveaux appareil pour la digitalisation des modéles photogramme triques - BuL, 1/71, SAITTA __eEA«ow__rrrr——___TTTT.._PT zkZEc_—_<



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